Party girl: recensione del film vincitore della Camèra d’or a Cannes

Party girl è un film di Marie Amachoukeli, Claire Burger e Samuel Theis premiato all’ultimo Festival di Cannes con la Camèra d’or. Film che racconta, in modo secco e diretto, la storia di una donna non più giovane che ha condotto una vita tribolata, una vita disordinata, fatta di relazioni fugaci, di uomini senza volto ed eccessi di ogni tipo. Angelique, intepretata dall’enigmatica Angelique Litzenburger, giunge così ad un punto morto dove si trova costretta a decidere se proseguire quella vita, oppure sistemarsi sposando un brav’uomo, gentile e per bene. Il film racconta di questo suo tentativo, di come questa opportunità gli dia modo di riavvicinarsi ai suoi figli, anche a Cinthia, la più piccola, toltale anni prima per essere affidata ad una famiglia di Metz. Ma la sua natura è dura da ingorare. Come conciliarla con l’opportunità di vivere una vecchiaia serena e al fianco di un uomo leale?

 

Party girl, la trama

Party girl è ambientato al confine franco-tedesco, giorni nostri. Angelique, nonostante un’età non propriamente verdissima, vive e lavora ancora al Tanz Cabaret, locale notturno frequentato da soli uomini. Senza l’avvenenza e la freschezza di un tempo, Angelique trascorre le notti sola, al bancone del bar, trovando in un bicchiere sempre pieno l’unica e triste compagnia. Stanca di osservare, ogni notte, le giovani colleghe danzare e intrattenere gli avventori del locale, Angelique si decide di andare a trovare Michel (Joseph Bour), suo vecchio ed affezionatissimo cliente che da tempo non vede più. Aperto il suo cuore, Michel chiederà alla donna di sposarlo, dandole l’opportunità di cambiare vita, di dare un taglio netto a quell’ esistenza balorda. Va bene ti sposo, ma è proprio questo ciò che voglio?

Party girlParty girl è quindi un film sulle scelte di fronte alle quali la vita ci mette in momenti chiave della nostra esistenza, quando bisogna imboccare una via anziché un’altra. Un film sulla disperata e interminabile ricerca della felicità, quella vera e spontanea, da non confondersi con la sicurezza, e che per le anime sole come Angelique, è destinata a rimanere un mito irraggiungibile.

Una regia interessante, che alterna inquadrature con camera mobile, forse per conferire maggiore realismo espressivo, ad altre dove è molto apprezzabile la ricerca del particolare, del dettaglio significativo. Interpretazioni asciutte per una sceneggiatura priva di retorica ma forse un pochino monocorde nel suo sviluppo narrativo. Dialoghi non sempre brillantissimi, ma forse volutamente carichi di pause e silenzi che a volte possono apparire stucchevoli.

Quasi assente la colonna sonora, tolti pochi brani celebri che inframezzano la narrazione e che, come nel caso degli Scorpions, ben si sposano con l’ambientazione, con questa provincia tedesca ai margini dello stato. Adatto il brano finale, omonimo del film, che chiude in modo impeccabile l’ultima e amara sequenza.

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