Ritorno al cinema per
uno dei grandi registi viventi della storia del cinema, Roman
Polanski, il tanto chiacchierato e discusso regista di origine
polacca, trapiantato in Francia. L’autore de Il
Pianista, dopo tanti problemi personali e qualche progetto
naufragato, ritorna con un’opera profondamente sua, che entra di
diritto nella sua straordinaria filmografia. Ancora una volta
Polanski mette in scena l’inconsistenza del genere umano,
attraverso la rappresentazione delle sue debolezze e delle sue
incertezze, spesso legati a un’ideale di mondo troppo lontano dalla
realtà tangibile.
La pellicola racconta di un regista teatrale che deve mettere in scena una piece ispirata ad un romanzo che tratta di masochismo e non riesce a trovare l’attrice giusta per il ruolo di protagonista. Improvvisamente irrompe una donna decisa letteralmente a tutto pur di ottenere la parte: tra i due si instaurerà un complesso gioco di potere.
Venere in pelliccia è
un’incredibile rappresentazione grottesca delle ossessioni e
perversione, ispirato a una pièce teatrale tratta da un
romanzo. L’impianto stilistico è molto simile al penultimo film del
regista, quel Carnage (sempre tratto da una pièce)
costruito sull’insofferenza di quattro personaggi e al limite
dell’esercizio di stile. In questo caso i personaggi sono
addirittura solo due, un regista e una musa interpretata ancora una
volta dalla compagna nella vita di Polanski, l’Emmanuelle
Seigner già vista e apprezzata in tanti suoi film. L’attrice,
attraverso la sua sensuale e persuasiva interpretazione ci conduce
in un teatro di maschere, dove un perverso gioco delle parti
tramuta la finzione in realtà e dove il cinema diventa teatro di
magiche perversione, come sottolineato dalla partitura pregevole di
Alexander Desplat.
Il risultato è un film di un’ironia pungente ed efficace, un gioco di ruoli e ossessioni travolgente, di un insano e perverso gusto per una teatralità referenziale che destabilizza completamente i personaggi all’interno dei suoi continui e repentini balzi. E’ in tutto e per tutto Roman Polanski, tanto che le urla dell’Inquilino del terzo piano, la follia di Luna di fiele, l’ironia sarcastica di Per favore non mordermi sul collo echeggiano nel teatro più volte, ricordandoci che forse stiamo gustando e apprezzando qualcosa di non troppo originale, già visto e conosciuto.
In fin dei conti poco importa se si è autoreferenziali, ripetitivi o schiavi di un virtuoso gioco di stile, il film è la prova tangibile che si può fare grande cinema anche parlando di teatro, con due personaggi e un luogo unico, con due bravi attori (Seigner e Amalric) e un grande regista.