#RomaFF12: The Hungry, recensione del film di Bornila Chatterjee

Dopo essere stato presentato in anteprima al Toronto International Film Festival lo scorso settembre, arriva a Roma, in selezione ufficiale, The Hungry  di Bornila Chatterjee. Per il suo secondo lungometraggio, la regista indiana punta sulla rilettura in chiave moderna della prima tragedia di William Shakespeare: il Tito Andronico.

 

Durante la festa di Capodanno, Ankur (Suraj Sharma) viene trovato morto in una camera d’albergo. Sembra si tratti di un suicidio ma un biglietto d’addio per i propri cari nasconde un indizio determinante che innescherà in Tulsi (Tisca Chopra), la giovane madre di Ankur, il desiderio di vendetta.

Fin dalla prima sequenza la regista pone l’attenzione sugli “affamati”: i corvi, che sovrastano il cielo di una sontuosa dimora, osservano con famelica avidità un gruppo di maiali che gozzoviglia intorno ad una falò abbandonato. L’istinto di sopravvivenza, la ciclicità della vita, la voracità onnivora sono i temi centrali del film che ci vengono così subito mostrati. Saranno continui i rimandi metaforici agli animali (pecore, insetti, capre) come simboli assoluti dei più brutali istinti umani.

Sostanziali differenze con il modello originale si ritrovano soprattutto nel ruolo che la regista riserva alle donne. Tulsi, su tutte, non è soltanto una madre ferita ma una donna alla ricerca della propria rivalsa che rivendica la posizione che le spetta di diritto. I ruoli si invertono, non solo quelli di genere; infatti la saggezza e il buon senso caratterizzano più i giovani che gli adulti.

La brama di potere muove tutti i personaggi, perfino quelli che appaiono positivi e innocenti celano un’ avida natura duale. Ognuno vuole accrescere la propria posizione, prevalere rispetto all’altro anche anche a discapito della famiglia. Significative, in tal senso nella prima parte, le scelte cromatiche con la continua opposizione tra bianco e nero, rafforzate, nella seconda, dal contrasto tra buio e luce che suggerisce allo spettatore l’atmosfera di una partita a scacchi in cui, fino alla fine, non si capirà chi conduce davvero il gioco.

Le sceneggiatura non riesce però a sostenere il ritmo serrato che lo stile registico insegue, congelando spesso le azioni dei personaggi e dilatandole oltre il necessario.

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