Una tomba per le lucciole: recensione

Una tomba per le lucciole – Settembre 1945: nella stazione di Kobe un ragazzo muore di stenti tra l’indifferenza e l’ostilità dei passanti, ormai proiettati verso la nuova era di pace, con in mano una scatola con cenere e poche ossa.

 

Anno: 1988

Regia: Isao Takahata

Con le voci di: Corrado Conforti (Seita), Perla Liberatori (Setsuko), Beatrice Margiotti (la mamma), Lorenza Biella (la zia).

Una tomba per le lucciole Sinossi: Settembre 1945: nella stazione di Kobe un ragazzo muore di stenti tra l’indifferenza e l’ostilità dei passanti, ormai proiettati verso la nuova era di pace, con in mano una scatola con cenere e poche ossa. Seita, ormai fantasma, raggiunge la sorellina minore Setsuko, e insieme ricostruiscono la loro odissea, dalla morte della mamma, sotto le bombe americane a Kobe alcuni mesi prima, alla ricerca della zia, guerrafondaia e egoista che li respingerà, al vagare nelle campagne, appena illuminate dalle lucciole che Setsuko adora, sempre più affamati, fino alla morte della bambina di fame, e alla fine di Seita poco dopo. Gli spiriti di queste due vittime innocenti della guerra dei grandi tornano ancora, nelle notti del Giappone moderno ormai pacificato e dove nessuno muore più di fame, per cercare di ritrovare ancora le lucciole, ultimo emblema della spensieratezza dell’infanzia.

Analisi: Violenta, diseducativa, dozzinale: quante volte si sono sono sentiti questi aggettivi in relazione all’animazione giapponese, dalla prima interpellanza parlamentare contro Goldrake da parte del parlamentare Silviero Corvisieri a tempi più recenti? Tante, troppe volte, e gli otaku, i patiti di manga ed anime nostrani, hanno dedicato tempo ed energie a combattere questo, ottenendo poi in anni recenti un maggiore riconoscimento, forse sull’onda della nostalgia canaglia, anche se c’è chi continua a demonizzare l’animazione nipponica, accusandola di essere troppo commerciale, salvo poi incensare film d’animazione molto commerciali ma a stelle e strisce, come Toy story o Ratatouille, per la serie viva la coerenza.

Ma di fronte a Una tomba per le lucciole, diretto da quell’Isao Takahata, popolarissimo anche da noi come regista dei due cult per bambine Heidi e Anna dai capelli rossi non si tratta più di cultura otaku e animazione giapponese, ma di un vero capolavoro della cinematografia, un film anche scomodo per un Paese che non ha mai fatto i conti fino in fondo con il periodo della guerra, antitesi di tutto quello che ci può essere di commerciale nel mondo dei cartoni animati giapponesi, senza robot e astronavi, fanciulle guerriere, maghette, samurai e combattenti marziali, e con due orfani diversi appunto dai vari Heidi, Remì e simili.

Una tomba per le lucciole Uscito in Italia solo per il mercato dell’home video dopo alcune anteprima a fiere del fumetto e festival otaku e presentato invece altrove a festival del cinema come Annecy e nelle sale di prima visione, Una tomba per le lucciole è poesia tragica e crudele, struggente ed atroce, dalla prima scena, quando è chiaro come tutto andrà a finire, alle scene nella campagna piena di lucciole, che rendono impossibile non voler bene a questo fratello e sorellina, vittime crudeli di una guerra atroce e dell’egoismo di adulti incapaci di proteggere i loro stessi cuccioli, come dimostra la stessa zia, emblema della generazione di fanatici della guerra che portarono il Giappone alla rovina, esattamente come quella di filo fasciti in Italia e filo nazisti in Germania.

Un film da vedere a prescindere se si amino o meno i manga e gli anime, se si abbia o meno la casa piena di albi di autori nipponici di ieri o di oggi e di dvd di serie e di Oav anche celebri, se si frequentino o meno le fiere, in cosplay o non, proprio perché racconta una storia che va oltre il mezzo usato. Paragonabile a film come Germania anno Zero di Rossellini o Giochi proibiti di René Clement, a libri come La Storia di Elsa Morante e Il diario di Anna Frank, per come racconta il dramma della guerra sui bambini. Per non dimenticare il passato e per ricordare i troppi Seita e le troppe Setsuko che ancora oggi sognano l’infanzia e perdono la vita.

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