Death by Lightning: spiegazione del processo e della condanna per l’assassinio del presidente Charles Guiteau

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La serie Death by Lightning, acclamata dalla critica e disponibile su Netflix, racconta il drammatico assassinio del presidente americano James A. Garfield, interpretato da Matthew Macfadyen, e del suo assassino Charles Guiteau, a cui dà volto Michael Shannon.
Pur essendo una produzione di altissimo livello, la miniserie omette un elemento importante della storia reale: il processo e la condanna di Guiteau.

A oltre 140 anni dai fatti, il caso è però ben documentato grazie a giornali dell’epoca e al libro del 1882 The Life of Guiteau and the Official History of the Most Exciting Case on Record di H.H. Alexander. È quindi possibile ricostruire nel dettaglio ciò che accadde dopo l’attentato, nella parte che la serie non mostra.

Il processo di Charles Guiteau

Il 2 luglio 1881, come mostrato nella serie, Charles Guiteau sparò due colpi di pistola al presidente Garfield nella stazione ferroviaria di Baltimore e Potomac. Fu immediatamente arrestato e rimase in prigione per oltre dieci settimane, mentre il presidente lottava tra la vita e la morte.

Quando Garfield morì, il suo vice Chester Arthur divenne presidente, e quello stesso giorno Guiteau fu incriminato per omicidio. Durante l’udienza preliminare del 14 ottobre 1881, si dichiarò non colpevole, sostenendo di essere stato temporaneamente folle e accusando i medici di Garfield di aver causato la morte con cure sbagliate.

Il suo avvocato e cognato, George Scoville, fece cadere le accuse di negligenza medica, e dopo un mese di rinvii, il processo iniziò il 14 novembre 1881. A rappresentare l’accusa c’erano il procuratore di Washington D.C., George Corkhill, e due rinomati legali, John Porter e Walter Davidge.

Guiteau tenta di difendersi da solo

Sin dal primo giorno del processo, Guiteau cercò di licenziare i suoi avvocati per assumere la propria difesa, sostenendo di conoscere il caso meglio di chiunque altro.
In aula, definì i suoi legali “incapaci e ottusi”, accusandoli di non sapere come condurre la difesa. Il giudice Walter Cox decise comunque di mantenerli, ma fu costretto a tollerare le frequenti interruzioni e gli sfoghi del detenuto per evitare un annullamento del processo. Guiteau arrivò persino ad accusare il giudice di volerlo “mettere a tacere”.

Un processo-spettacolo

Il processo di Charles Guiteau divenne presto un vero e proprio spettacolo pubblico.
L’imputato, convinto di essere popolare, trasformò l’aula in un palcoscenico, tra insulti, dichiarazioni assurde e continui interventi fuori luogo. Contestava le domande dei suoi stessi avvocati, derideva i testimoni della difesa e insultava Scoville definendolo “un asino nelle controinterrogazioni”. Come se non bastasse, decise di testimoniare in propria difesa, cosa che si rivelò disastrosa. Raccontò nei dettagli come aveva pianificato l’omicidio, descrivendo persino la scelta della pistola — con manici d’avorio — perché “sarebbe stata più bella da esporre in un museo”.

Con queste dichiarazioni, vanificò completamente la strategia della follia momentanea, sostenendo di essere stato “pazzo solo nel momento dello sparo”, ma perfettamente lucido durante il processo. Arrivò persino a dire che l’assassinio avrebbe reso famoso il suo libro autobiografico. Alla fine del processo, Guiteau cantò John Brown’s Body e si paragonò a George Washington, un gesto che confermò, secondo molti esperti, che il suo comportamento fosse in gran parte una recita per simulare la pazzia.

Gli esperti divisi sulla sua sanità mentale

Il caso Guiteau fu il primo grande processo americano a invocare la difesa per infermità mentale. Si basava sulla regola di M’Naghten, secondo cui un imputato è considerato folle solo se, al momento del crimine, non comprendeva ciò che stava facendo o non sapeva che fosse sbagliato.

Furono chiamati 36 medici, 23 per l’accusa e 13 per la difesa, ma le loro testimonianze risultarono contraddittorie. Alcuni sostenevano che Guiteau fosse nato folle, altri che avesse sviluppato disturbi mentali in seguito; qualcuno attribuiva la follia alla forma del cranio o a difetti di linguaggio, mentre altri dicevano che le lesioni cerebrali ne fossero la causa — anche se Guiteau non ne mostrava alcuna traccia.

La condanna a morte

Il 25 gennaio 1882, dopo due mesi di processo, la giuria impiegò appena 65 minuti per dichiararlo colpevole. Il 4 febbraio venne condannato alla pena di morte per impiccagione. Nonostante il ricorso alla Corte Suprema, la sua richiesta fu respinta. Disperata, la sorella di Guiteau cercò aiuto dalla vedova del presidente, Lucretia Garfield, ma fu respinta freddamente. Anche la figlia della coppia, Mollie Garfield, si indignò per l’audacia della donna.

L’esecuzione e la fine di Guiteau

Convinto fino all’ultimo di ricevere la grazia, Guiteau scrisse al nuovo presidente Chester Arthur, sostenendo che il suo gesto lo aveva favorito e meritava riconoscenza. Arthur, però, rifiutò ogni intervento. L’esecuzione fu fissata per il 30 giugno 1882 (la serie riporta per errore l’anno 1992).

Oltre 20.000 persone parteciparono a una lotteria per assistere all’impiccagione, ma solo 250 ottennero i biglietti per vedere la scena dal vivo. Proprio come mostrato in Death by Lightning, Guiteau salì sul patibolo, recitò la poesia “I Am Going to the Lordy” e fu infine impiccato.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice e Direttore Responsabile di Cinefilos.it dal 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
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