C’è un genere che si è ormai affermato su Netflix: la docuserie. Nel corso degli anni, la piattaforma lo ha sempre più raffinato. Si sceglie un argomento, si realizzano interviste, si aggiungono ricostruzioni in modo che il parlato abbia una controparte visiva, e tutto ciò che viene mostrato sullo schermo viene persino estetizzato per ottenere un pacchetto pulito, impeccabile, quasi anestetizzato. La prima docuserie a stabilire un punto di riferimento è stata SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, che, a differenza di tutte le altre produzioni che ne hanno seguito le orme, aveva qualcosa che non si è mai ripetuto: la spontaneità.
Non quella degli intervistati o nel modo in cui i fatti sono stati presentati, ma nel genuino desiderio di raccontare una storia, di farlo con una certa struttura e scelte specifiche che, di fatto, si adattassero all’argomento. Eppure, da allora ce ne sono stati altri, ognuno dei quali ha perso sempre più quella cruda onestà che ha decretato il successo dell’originale. È su questa linea che arriva Terrazza Sentimento.
Chi è Alberto Genovese?
La docuserie in tre parti ricostruisce il caso dell’imprenditore Alberto Genovese e le violenze inflitte a diverse giovani donne che frequentavano la sua casa. Lo scandalo è scoppiato nell’ottobre 2020, gettando nuova luce sul cosiddetto stile di vita milanese da bere, sulla cocaina e i suoi effetti, e sulla scena mondana che prosperava nel periodo immediatamente successivo alla pandemia (e, a quanto pare, anche durante).
A differenza della docuserie in sé – il cui obiettivo sembra essere quello di produrre nuovi contenuti senza trovare un modo originale o incisivo per farlo, finendo per essere un mero contenitore di fatti – il risultato sembra più un’aggiunta alla libreria Netflix che una vera e propria indagine su uno dei più recenti scandali pubblici italiani. Questa impressione è rafforzata dal breve intervallo di tempo tra i fatti realmente accaduti e il loro adattamento in streaming.
Terrazza Sentimento
Terrazza Sentimento avrebbe potuto essere l’occasione per far luce su come il privilegio diventi una scusa per giustificare gli atti più riprovevoli, sulla facilità con cui le donne rimangono costantemente esposte al pericolo e, soprattutto, sulla rapidità con cui vengono accusate di “cercarselo” anziché essere sostenute. La docuserie non è male, sebbene alcune scelte siano discutibili, come la necessità di tornare all’infanzia di Genovese per mostrare che era vittima di bullismo ed escluso dalle feste, una spiegazione che stride con la narrazione sulle feste edonistiche che organizzava da adulto e sugli abusi inflitti a donne drogate, sedate e violentate.
Un’altra scelta discutibile è l’uso di ricostruzioni digitali in assenza di materiali originali, complete di conversazioni simulate. Che Terrazza Sentimento abbia rapidamente raggiunto la vetta delle classifiche Netflix era prevedibile. Ma ciò che merita maggiore riflessione è la nostra continua fascinazione per l’approfondimento superficiale di storie inquietanti e la nostra ricerca della spettacolarizzazione del male, un fenomeno che ha poco a che fare con la qualità produttiva di queste docuserie.
