
“Sono sempre stata un’appassionata di fiction in tutte le sue forme – ha dichiarato la Hurd -, e durante gli anni del liceo e dell’università guardavo almeno due film al giorno”. E infatti è stato il cinema il suo primo amore, amore scoperto e inseguito grazie al celebre produttore Roger Corman, che nel 1978 ha creduto e scommesso su di lei. “È stato lui a darmi questa possibilità, credendo in me in un periodo in cui non erano molte le donne che facevano cinema. Ed è sempre stato lui che mi ha fatto capire il lavoro che volevo fare, facendomi lasciare la sua società e dicendomi che lui non aveva più nulla da insegnarmi, avevo imparato tutto e mi detto che ero pronta per realizzare un film come Terminator“.
Sulle sue fonti di ispirazione e sui personaggi che hanno fatto nascere in lei la voglia di lavorare nel cinema: “Le mie fonti di ispirazione sono stati i registi come Kubrick, che mi hanno fatto capire che i film di fantascienza possono essere film di serie A. Questo l’ho capito con più chiarezza quando ho cominciato a collaborare con James Cameron. Io ho sempre voglia di innovare”.
Sul suo passaggio alla televisione e sul valore delle storie dei personaggi che racconta: “Grazie alla televisione siamo in grado di dedicare più tempo alla storia e ai personaggi. Con le serie tv ad esempio si lavora per tanto tempo sempre con lo stesso cast e per questo si può approfondire tutto in modo più attento. A volte qualcuno mi chiede sempre perché non faccio film intimistici, io rispondo: ‘Li ho fatti, ma tu non li hai visti!’. Io amo le storie che coinvolgono e approfondiscono la condizione umana e con la tv è più facile realizzare questo tipo di storie. Un progetto che mi attira è quello dove i personaggio compiono un viaggio, che parli dell’essere umano, che sia di fantascienza o ambientato nella realtà. Per me una storia che funziona è quella in cui una persona normale si trova a vivere situazioni straordinarie”.

Sul motivo che l’ha spinta a sostenere il progetto di una serie tv su The Walking Dead: “Sono stata una fan dei fumetti. Mi piaceva l’idea che i morti che camminano della serie sono le persone che ancora non sono degli zombie, perché tutti, anche se muoiono di una morte naturale sono destinati a trasformarsi. Dunque i personaggi sanno che se muoiono diventano zombie e chi continua a vivere sa che potrebbe essere costretto ad uccidere un suo caro. I fumetti in questo senso sono inflessibili e raccontano storie dure e violente. Ho pensato che era un prodotto da mostrare anche sullo schermo. Il conflitto tra scelte morali ed etiche sono anche il motivo del successo a livello planetario della serie tv, perché si parla di temi che sono universali e si adattano a tutti i tipi di culture e civiltà”.
Sui temi portanti che costituiscono il maggiore motivo di interesse in The Walking Dead: “La serie parla di chi siamo come esseri umani e di come ci comportiamo quando siamo di fronte all’apocalisse. Inoltre abbiamo approfondito anche chi siamo come società, sulle scelte difficili che ognuno di noi potrebbe dover compiere. Per questo i personaggi della serie sono così amati e seguiti, perché sono sempre in bilico nelle loro scelte, un continuo conflitto tra etica e morale”.
Sulle doti di un buon produttore: “Nel mio lavoro è fondamentale fiutare una buona idea. Il produttore collabora con più figure, dal regista agli attori, passando per lo sceneggiatore e deve essere abile anche a convincere a far cambiare qualche cosa: a volte ti trovi sul set ad essere più uno psicologo che un produttore”.
