- Pubblicità -

 
 

C’è solo una cosa che esce vincitrice da questo doppio episodio di American Horror Story: Asylum ed è la regia. Consapevole di aver messo molta carne al fuoco, di aver in certi casi premuto troppo sull’acceleratore e di aver sicuramente sbrodolato qua e là, il regista dell’episodio, Alfonso Gomez-Rejon si gioca il tutto per tutto dando vita a una puntata ricca di velleità artistiche e virtuosismi cinematografici.

Vedranno così la luce scene che raccontano la vita tra le mura domestiche della presunta Anne Frank girate in super 8 o scene in cui l’intimità tra Kit e Grace viene messa in luce rappresentandoli come fossero nella stessa cella, separati solo da un muro, vicini seppur lontani senza mai dimenticare i super cult del cinema di genere con jump cuts, riprese frenetiche e grandangoli a profusione.

La doppia puntata I am Anne Frank però non serve solo ad appagare l’ego del regista: finalmente la stagione sembra decollare, prendendo una piega ben precisa e rivelando un cliffhanger niente male proprio durante gli ultimi minuti della puntata. In I am Anne Frank seconda parte viene posto l’accento sul maschilismo imperante nell’America degli anni ’60, mettendo così in contrapposizione protagoniste vittime sconfitte di una terribile giornata (eccezion fatta per Sister Eunice, ormai personificazione terrena del maligno) a uomini vittoriosi.

Così Sister Jude cade vittima di se stessa, mentre si reca dal misterioso Mr. Goodman, un uomo che per vivere fa il cacciatore di nazisti, che la mette in guardia: far tacere il proprio istinto è il peggior errore che un essere umano possa mai commettere. Sister Jude si rende conto di essersi esposta troppo dopo che la perquisizione del laboratorio del Professor Arden non ha dato i risultati sperati e, consapevole della posizione in cui si trova dopo aver dato adito alle farneticazioni di una donna clinicamente pazza, opta per l’autoesilio dal lavoro che l’aveva salvata da una vita misera come mangia uomini avvizzita. Sconfitta è anche la rediviva Anne Frank che si rivela essere Charlotte, una casalinga in depressione post partum ossessionata dall’olocausto tanto da tatuarsi i numeri su di un braccio e da immedesimarsi totalmente in Anne Frank. Poco importa che lei sia o meno chi dice di essere visto che tramite la sua ossessione scopre che Arden è davvero Hans Gruber, riconosciuto nella foto che lo ritrae con Hitler. Tra gli sconfitti, fisici e psicologici, c’è anche Grace alla quale non è chiaro se è stata praticata una sterilizzazione o se davvero è stata vittima di un rapimento alieno e sottoposta a chissà quale intervento ultra terreno. Infine, Lana, che si lascia sedurre dalle parole del Dottor Thredson passando così inesorabilmente dalla padella alla brace (che scopriremo a fine episodio).

Come contro altare, abbiamo gli uomini: con sister Jude fuori dai giochi, Arden è diventato ufficialmente il capo del Briarcliff; Kit viene risparmiato dalla sterilizzazione e ottiene la sua piccola vittoria con Grace che gli comunica di aver visto sua moglie nell’astronave aliena, viva, vegeta ed estremamente incinta. Infine Thredson, che scopriamo essere il vero Bloodyface del 1964, si accaparra una nuova vittima (la povera Lana) e si mette al sicuro da ogni tipo di indagine facendo confessare con false promesse a Kit di aver compiuto quegli efferati omicidi.

Tra lobotomie forzate, rapimenti alieni, Chloe Sevigny semi mutante che terrorizza allegre scolaresche, lampade in pelle umana con capezzoli e botole su pavimenti in stile Lost, l’impressione generale è che, dopo un iniziale spaesamento, c’è una grande metodica dietro questa nuova stagione di American Horror Story, in cui ogni periodo narrativo risulta ben studiato, con una precisa consapevolezza di cosa dire e quando dirla tenendo bene in mente un principio fondamentale: al Briarcliff niente è come sembra. E il dottor Thredson ne è un esempio.

- Pubblicità -