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Indizi di ciò che stava per accadere gli autori li avevano già seminati nello scorso episodio. Ozymandias, il titolo della quattordicesima puntata, era l’ultima delle trovate. La grandezza di Walter era cominciata con una poesia, Leaves of Grass di Walt Whitman e, ancora una volta, Vince Gilligan e collaboratori attingono dalla letteratura per porle fine. Ozymandias, di P.B.Shelley, è metafora di come il tempo distrugga le passioni suscitate dal potere. Non ci sono più superbia, violenza, ambizione nel volto di Walter White. Come del grande re Ozymandias rimangono soltanto i resti di una scultura e le parole scolpite su di essa, di Heisenberg stanno rimanendo solo macerie.

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Dopo lo scorso episodio, Breaking Bad era impregnata di una stagnante sensazione di morte. E morte è stata. To’hajiilee ci aveva lasciato nell’omonima riserva indiana, nel bel mezzo di una sparatoria, a due passi dai preziosi barili sepolti sotto la polvere del deserto. I due agenti DEA, in evidente inferiorità, numerica e di arsenale, Walter (Bryan Cranston) ammanettato nell’auto di Hank (Dean Norris), Jesse (Aaron Paul) nascosto in quella di Walt. Ozymandias ci riporta lì, negli attimi appena successivi alla fine della sparatoria. La Morte è arrivata, sconvolgendo definitivamente la vita di Walter White, chiedendo il conto delle azioni di Heisenberg. Ancora una volta è a rischio l’unica cosa che ha saputo arrestare la totale mutazione di Walt, la famiglia. Perché ogni azione ha una reazione, come gli ha ben insegnato la chimica. Una fase sta per chiudersi, prima di portarci, attraverso i prossimi due episodi, ai flashforward che ci avevano mostrato il futuro di Walt.

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Breaking Bad si nutre della sua sceneggiatura e dei suoi personaggi. Proprio per questo non è dall’azione che riparte l’episodio, ma dal suo termine. Dal momento in cui, a garantire la giusta drammaticità, non saranno i proiettili ma, nuovamente, dialoghi empatici e provanti. Rivediamo il vero Walter White, l’uomo impotente, spaventato, affezionato alla famiglia. Gli eventi e i sentimenti stanno prendendo il sopravvento su Heisenberg, colpito, ferito, sconfitto. La serie dimostra ancora una volta la capacità di permettere allo spettatore l’empatizzazione col proprio protagonista e la grandezza di avvicinarlo e allontanarlo da Walt episodio per episodio. Se da una parte è cresciuto costantemente il ribrezzo per l’uomo che è diventato, dall’altra la comprensione per il vecchio Walter White è sempre rimasta sullo sfondo, rivelandosi occasionalmente e riavvicinandoci emotivamente al protagonista. Insieme ai dialoghi la serie continua a mantenere tra i suoi punti di forza la fotografia, per gli immensi e meravigliosi paesaggi del New Mexico ma, soprattutto, per i frequenti primi piani, capaci di rendere attraverso la giusta luce e le perfette inquadrature, tutte le sfumature e le emozioni dei personaggi. Ozymandias non annoia mai, non propone attimi di tregua, mantiene alto il livello drammatico per tutto l’arco dell’episodio. Gilligan aveva anticipato otto puntate piene di una mole di avvenimenti che avrebbe potuto coprire una stagione intera e, per ora, niente sembra smentirlo. Nessun episodio di transizione, nessun momento in cui poter abbassare l’attenzione, Breaking Bad procede spedita verso il suo finale.

Solo due episodi alla conclusione, Granite State e Felina. Cronologicamente siamo sempre più vicini ai flashforward d’inizio stagione, cui potremmo arrivare già nella prossima puntata, nonostante ci siano ancora dei punti oscuri che andranno prima chiariti. Se To’hajiilee ci aveva mostrato qualche indizio, Ozymandias lascia completamente spiazzati, nell’incapacità di prevedere cosa possa succedere. Non resta che attendere.

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