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Ray-Donovan

 
 

Los Angeles, città delle star e delle feste glamour, un giocatore della NBA si sveglia accanto a una ragazza morta di overdose, la prima telefonata è per l’avvocato Ray Donovan, una garanzia per risolvere i problemi che sono sul filo dell’illegalità e oltre lo scandalo; gli affari che lo coinvolgono richiedono una buona conoscenza della giustizia e della realtà per ripristinare il giusto status delle cose. In questi primi minuti della serie ci viene mostrato il lavoro che Ray abitualmente fa e che gli serve per mandare avanti la sua famiglia, quasi perfetta. Sposato con Abby,(Paula Malcomson) e con cui ha un rapporto piuttosto conflittuale, lei vuole arrivare nella società che conta, trasferirsi in una nuova casa nelle zone importanti così da mandare i suoi figli, Bridget (Kerris Dorsey) e Conor (Devon Bagby) nelle scuole più rinomate. E lui che le tiene nascoste le maggior parte delle cose che succedono nel suo lavoro, e i tradimenti che lui le fa, l’ultimo con al giovane attrice-cantante Ashley Rucker (Ambyr Childers). Ma il suo lavoro è importante anche per salvare l’altra famiglia, quella composta dai suoi due fratelli, Bunchy (Dash Mihok) e Terry (Eddie Marsan) il primo ha appena avuto un risarcimento di milioni di dollari per essere stato vittima di pedofilia da parte di un prete, il secondo è affetto da parkinson, malattia dovuta al suo passato di Boxer.
Una vita in bilico tra la patina sociale e la violenza, questo è lo scenario in cui si muove Ray Donovan. La sua personalità forte è dovuta alla sua crescita, ma definirli traumi infantili non sarebbe giusto per la compattezza e durezza con cui Liv Schreiber traccia il suo personaggio, silenzioso, composto e concentrato. C’è una sorta di morale nel suo lavoro, ma con poche possibilità di interpretazioni, che nel momento in cui vengono variate emerge la latente rabbia con cui evidentemente Ray ha stretto un rapporto per come e quando deve emergere. Una vita per lo più sempre uguale, finché suo padre Micky (Jon Voight) non esce di prigione portando da Boston a Los Angeles ricordi e relazioni che forse era giusto tenerli a debita distanza.

Una prima puntata equilibrata, dosata e punteggiata nei giusti temi per far si che il pubblico gli conceda una seconda visione. In scena le dinamiche familiari nelle varie ottiche padre-figlio (anche se a spiccare è quella di Ray con Mickey) ma anche la sua declinazione, tra il mentore Ezra Goodman (Elliott Gould) e Ray, nelle poche scene in cui interagiscono si vede che gli ha concesso quella possibilità per essere quello che voleva. Infine c’è anche la tensione tra marito e moglie, caratteri così simili e legati da un profondo rapporto di riscatto e complicità.
Bellissimo esordio per Liv Schreiber, ci regala un interpretazione equilibrata per l’uomo, l’avvocato e il teppista che Ray racchiude nella sua personalità, le scene che spiccano maggiormente sono quelle con John Voight, finalmente calato in un ruolo di un metodico cattivo, che vuole qualcosa che il figlio non gli permetterà mai di avere e che farà di tutto per contrastare con ogni mezzo. Giusta e irritante l’interpretazione di Paula Malcomson per l’ambizione di Abby, innamorata più della vita che potrebbe avere con Ray che di quella che hanno.
La sceneggiatura firmata da Ann Biderman viene promossa come tutto il resto del cast, i presupposti sono buoni e gli sviluppi interessati, anche se non innovativi ma a fare la differenza sono gli attori, completamente assorbiti dalla sceneggiatura e già consapevoli di come muoversi nelle strade di Los Angeles.

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Stefania Buccinnà
Sono un appassionata di Cinema e Serie televisive americane, motivo per cui mi sono iscritta all'università e mi sono laureata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo Digitale presso l'università La Sapienza in Roma dove ho conseguito anche un Master di Primo Livello in Montaggio Video e Audio. Amo costruire strutture per immagini e scrivo per piacere, pensando che le due cose sono molto simili ma con grammatiche diverse. In fondo per me, scrivere una frase è come mettere insieme una scena.