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Cross (Diane Kruger) e Ruiz (Demian Bichir) si trovano nel luogo isolato dove sono stati ritrovati morti nove dei dieci messicani clandestini in fuga. Trovando lì una seconda perla simile a quella lasciata dal killer su un’altra scena del crimine, confermano la correlazione tra i vari omicidi e cominciano a cercare la ragazza sopravvissuta, anche se sospettano sia stata rapita del killer. Notano proprio nei dintorni una roulotte, quella di Steven Linder: coincidenza? Probabilmente no, probabilmente era nei piani dell’uomo dietro a tutti questi omicidi. Tornati a El Paso, scoprono che è stata uccisa una donna nel palazzo Linder, così decidono di portarlo al distretto per interrogarlo. Sebbene non riescano a ottenere informazioni utili o a incastralo per i vari omicidi, Ruiz è convinto che lo strano individuo nasconda qualcosa e non intende mollarlo. Nel frattempo, il tenente Wade incarica il giornalista Frye e la sua collega messicana Mendez d’indagare sulla ragazza scomparsa a Juàrez.
Durante le ricerche Frye riceve una telefonata dal killer, che si offre di liberare la ragazza scomparsa in cambio di un milione di dollari da parte dei quattro uomini più ricchi di El Paso: uno di loro è il defunto Karl Millwright. Quest’evoluzione del caso porta a incontrarsi, di nuovo, i due detective con Charlotte Millwright. Nonostante l’intesa che si crea tra lei e Ruiz, la Millwright non racconta del tunnel segreto né tantomeno dell’incontro avuto il giorno del funerale di Karl con il cliente del bizzarro avvocato, che si è rivelato essere una donna messicana di mezz’età. A riempire maggiormente la giornata dei due detective ci si mette la loro vita privata. Al distretto si presentano la moglie di Marco per discutere della condotta negativa del figlio a scuola e l’uomo rimorchiato da Sonya qualche sera prima.

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Quest’episodio, come il precedente, si chiude con due eventi tragici e cruenti, ma non inaspettati. Quello che veramente ci turba di più non è qualcosa dovuto alla violenza, alla follia o alla vista del sangue, ma al cedimento improvviso di alcuni valori morali, dati per certi in chi sembrava esserne il portabandiera.
Il terzo episodio, ancora più dei primi due, sottolinea il lento sbriciolarsi dei confini, non solo quelli che delimitano gli Stati ma anche quelli che regolano i rapporti sociali e privati; tutto e tutti sembrano convergere verso il punto d’origine del caos: intrecciandosi e scontrandosi, le persone cominciano a perdere le loro certezze e si avviano a diventare cittadini di una terra senza nome e senza regole. Il titolo di quest’episodio, Rio, lo preannuncia chiaramente, creando un collegamento tra il cavallo preferito di Karl Millwright e il tratto di confine tra Messico e Texas tracciato dal corso naturale del fiume Rio, a partire proprio dalle città di El Paso e Juàrez. Così accade che il confine si avvii ad avere il medesimo destino dell’amato equino.
L’attore australiano Thomas M. Wright merita una nota positiva per la continuità con cui veste i panni di Steven Linder: il forte accento del Sud, il modo di camminare, di muoversi e quello sguardo così infantile e al contempo minaccioso è una maschera ogni volta perfetta e senza schegge.

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Per omaggiare la serie dano-svedese da cui nasce, The Bridge chiama dietro la macchina da presa la regista dei primi quattro episodi di Bron/Broen, la danese Charlotte Sieling che, insieme al direttore della fotografia ungherese Attila Szalay, costruisce l’episodio giustapponendo in modo abbastanza coerente uno stile calmo e obiettivo a uno curioso e istintivo.

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