Dopo circa un’ora dall’inizio di Fuori dall’oscurità (Out of Darkness), film diretto dall’esordiente Andrew Cumming, arriva una rivelazione che cambia completamente la prospettiva dello spettatore: non si tratta affatto di un film sui mostri. Dietro l’apparenza di un horror preistorico si nasconde infatti una riflessione profonda sulla paura, sull’umanità e sui meccanismi di sopravvivenza che attraversano il tempo.
Uscito nelle sale il 9 febbraio, Fuori dall’oscurità (Out of Darkness) segue una tribù di Homo sapiens che vive su un’isola desolata al largo della Scozia, circa 45.000 anni fa. Quando un bambino di nome Heron scompare nel cuore della notte, il gruppo si addentra nella foresta per cercarlo, ritrovandosi preda di un misterioso nemico invisibile che li elimina uno a uno. Cumming costruisce la tensione con grande abilità, prendendo ispirazione da classici come Lo squalo e Alien: l’orrore resta fuori campo fino a quando diventa inevitabile affrontarlo. E quando finalmente viene mostrato, la sorpresa è totale — la minaccia non è una creatura mitologica, ma un essere umano.
Umani contro umani: l’orrore dentro di noi
Il film rivela infatti che gli assassini non sono mostri, ma una coppia di Neanderthal, una specie che ha convissuto con l’Homo sapiens per migliaia di anni prima di scomparire. Questa scelta sposta il centro del racconto: Out of Darkness diventa un dramma antropologico in cui la linea tra predatore e preda si assottiglia fino a scomparire. “Il film parla della paura”, spiega Cumming. “La paura di un demone o di una bestia che ti perseguita, ma anche quella, più reale, di ciò che non capiamo negli altri e in noi stessi”.
Il messaggio è universale: il nemico non è sempre esterno, e la violenza non appartiene solo al passato. Non a caso, il film è stato concepito durante le prime fasi della pandemia, quando la diffidenza e l’isolamento sembravano dominare ogni relazione umana. “Se le parole ‘45.000 anni fa’ non fossero apparse all’inizio del film, potrebbe sembrare un futuro post-apocalittico”, afferma il regista.
Una lingua inventata per un mondo perduto
A rendere Out of Darkness ancora più singolare è la scelta di girarlo interamente in “Tola”, una lingua inventata appositamente per il film. Creata dal linguista Daniel Andersson come fusione di arabo e basco, Tola — abbreviazione di The Origin Language — aggiunge autenticità e mistero all’ambientazione. “Temevo che i sottotitoli potessero allontanare il pubblico”, ammette Cumming, “ma girare in inglese sarebbe stato pigro. Volevo che fosse tutto vero, primordiale”.
Il cast, guidato da Safia Oakley-Green, Kit Young e Luna Mwezi, offre interpretazioni fisiche e intense, quasi istintive. Mwezi, giovanissima, ha stupito il regista al punto da spingerlo ad affidarle il ruolo maschile di Heron. “Volevamo qualcuno che avesse nei movimenti e nello sguardo quella fragilità ancestrale che non si può fingere”, racconta Cumming.
Breve, essenziale, devastante
Con una durata di soli 87 minuti, Fuori dall’oscurità (Out of Darkness) è un film compatto ma denso, costruito per lasciare un impatto duraturo. “Amo Killers of the Flower Moon, ma tre ore e mezza per qualsiasi film sono un impegno enorme”, scherza Cumming. “Mi piacciono le storie che dicono quello che devono dire e poi si chiudono”.
Con il suo linguaggio primitivo, la tensione viscerale e una rivelazione che ribalta ogni aspettativa, Out of Darkness non è solo un survival horror preistorico: è un’allegoria potente sulla paura dell’altro e sull’eterna, violenta necessità di riconoscersi umani.