La sua morte ha lasciato tutti senza fiato. Fan, colleghi e critici: tutti hanno inondato le pagine dei social network esternando un dispiacere (non ci azzardiamo a chiamarlo dolore) che si può a tutti gli effetti ritenere autentico. Philip Seymour Hoffman era un vero talento, una roccia granitica capace di sbriciolarsi e ricomporsi a piacimento, mettendo sempre in campo un’abilità fuori dal comune, un perfetto equilibrio tra il metodo più rigoroso e una naturalezza che lasciava intuire quasi sufficienza, abitudine e leggerezza. Immaginiamo però che non fosse così, che dietro ogni personaggio ci fossero impegno, dedizione e passione, oltre a quel pizzico di follia mista agrande sensibilità che fa sempre parte del genio.
E’ balzato agli occhi del mondo quando vinse il suo primo e unico Oscar, come straordinario protagonista per l’interpretazione magistrale di Capote – A Sangue Freddo, ma la sua carriera, fino al 2006, era già ricca, varia e preziosa. Grandi registi (Paul Thomas Anderson, Sidney Lumet, Richard Curtis, Spike Lee, George Clooney) per quandi film, che lo hanno visto apparire sempre per grandi ruoli, sempre in ottima forma. La sua presenza scenica era imprescindibile dal suo aspetto sempre un po’ scompigliato, apparentemente timido e impacciato, ma rassicurante e cordiale.
Più che le parole, parlano i suoi film, le sue interpretazioni sempre straordinarie indipendentemente dal numero di pose, la sua naturale predisposizione a raccontarci le vite degli altri, con modestia e generosità. In queste ore c’è una famiglia che soffre per la perdita di un familiare; il mondo dal canto suo può solo farsi da parte di fronte al dolore privato, e provare a celebrare, con rispetto, quello che Philip Seymour Hoffman ha regalato alla settima arte.