Arrivati al sesto giorno di Festival, a Cannes si respira un’aria del tutto diversa rispetto alla scorsa settimana. Sulla Croisette è infatti il turno della Pixar e del genio di Pete Docter, già regista di Up e Monsters & Co. Il nuovo attesissimo film dello studio, Inside Out (qui la nostra recensione), è stato infatti presentato alla stampa generando un fenomeno inaspettato. Il lavoro è assolutamente sorprendente, educativo e poetico, ha emozionato tutti indistintamente, apparendo subito come il miglior prodotto visto sinora al Festival. John Lasseter e lo stesso Docter sono raggianti in conferenza stampa, una conferenza estremamente interessante durante la quale gli autori ci hanno raccontato com’è nato il progetto e come è stato costruito. Ma procediamo per gradi.
Guardando il film, quando uscirà
nelle sale italiane a settembre, vi innamorerete pressoché subito
della piccola Riley, che impareremo a conoscere grazie ai cinque
personaggi all’interno della sua testa: Rabbia, Gioia, Disgusto,
Paura e Tristezza. Ma com’è nata l’idea di analizzare dall’interno le
emozioni di un bambino? “Riley è in realtà mia figlia – ha
confessato Docter – ho avuto l’idea proprio guardandola, ho notato
che in un periodo particolare della sua vita aveva perso le
energie, mi sono detto ‘Chissà cosa le passa per la mente’. In
passato abbiamo realizzato film su mostri, su macchine parlanti, ma
un film sulle nostre esperienze di vita è un’idea grandiosa, mi è
sembrato interessante.” “Anch’io ho capito subito si trattasse di
qualcosa di speciale – ha aggiunto Lasseter –
nonostante fosse difficilissimo da realizzare. Abbiamo svolto un
lavoro di ricerca incredibili, coinvolgendo anche psicologi esperti
che ci aiutassero a ricostruire alla perfezione il funzionamento
della nostra mente, del nostro reparto emozionale, dei ricordi.
Abbiamo fatto una cosa simile anche per Toy
Story, lo abbiamo rifatto in modo approfondito per
Inside Out. La vera sfida è stata
semplificare tutto per gli adulti, che i bambini sicuramente
avrebbero capito in ogni caso. Bisognava ricreare il funzionamento
della mente umana, il meccanismo della memoria a breve termine che
si rigenera durante la notte, vi assicuriamo che si tratta una
ricostruzione molto fedele.”
Ma come viene costruito un film
Pixar? Lasseter ha spiegato che prima si mettono
insieme tutti gli storyboards del film per vedere una versione
dello scheletro, poi ogni 12 settimana si monta e rivede tutto il
materiale per capire dove si può migliorare il tutto. Per arrivare
alla versione della sala cinematografica possono esserci 9 o 10
cuts preliminari. Una grande mole di lavoro che però porta a
risultati maestosi, per più di
un giornalista il miglior film visto sinora a Cannes. La domanda
sorge infatti spontanea: perché film d’animazione di questo calibro
non vengono considerati dal Concorso ufficiale ma presentati Fuori
Concorso? “In realtà siamo felicissimi anche solo per essere nella
selezione ufficiale, quando ho iniziato la mia carriera nel settore
dell’animazione – ha continuato Lasseter – si viaggiava su un
settore morto. Si pensava che l’animazione fosse destinata
esclusivamente ai bambini, così molti studi chiudevano i battenti.
Noi in vent’anni di attività siamo tornati spesso qui a Cannes, il
Festival più importante del mondo, e siamo felici così. Inoltre
quest’anno c’è anche mio figlio che presenta un cortometraggio,
sono particolamente felice.” Ebbene si, la Pixar festeggia 20 anni
di attività, gli anni che ormai ha un film iconico come
Toy Story capace di cambiare un’intera
epoca. “La nostra forza è aver cambiato radicalmente il settore
dell’animazione. Abbiamo iniziato a indirizzare i nostri film agli
adulti, più che ai bambini, è l’unico aspetto che non è cambiato
dalla nostra fondazione. Ci sono stati cambiamenti anche nella
tecnologia, ma il nostro focus è sempre sulle storie. La tecnologia
serve a poco, se non se ne fa un buon uso. Toy
Story, se non avesse emozionato il pubblico, sarebbe
morto insieme alla sua tecnologia innovativa e nessuno avrebbe
prodotto altri film disegnandoli al computer.”