Davide Gentile, intervista al regista di Denti da Squalo

Denti da squalo conferenza stampa

Nella selezione di cinema italiano presentata alla 22a edizione di Open Roads (rassegna a cura del Film Society of Lincoln Center e Cinecittà) ha trovato meritato spazio anche Denti da squalo, esordio al lungometraggio di Davide Gentile che arriva nelle sale italiane l’8 giugno. Ambientato quasi interamente dentro una lussuosa e decadente villa del litorale romano, il film racconta la crescita e la presa di coscienza del giovanissimo Walter (Tiziano Menichelli), il quale dopo aver perso il padre si ritrova a condividere l’estate con uno squalo bianco confinato dentro una piscina. A New York abbiamo incontrato il regista che ci ha raccontato la sua opera prima prodotta tra gli altri da Gabriele Mainetti.

 

Denti da squalo adopera un’ambientazione geografica e sociale molto precisa per raccontare invece una storia universale. Come è arrivato a questa scelta?

Volevo riportare sul grande schermo i panorami iconici del litorale laziale filtrandoli però attraverso un tipo di estetica cinematografica diversa, che si avvicinasse alla favola. La fotografia di Denti da squalo in particolar modo non cerca il realismo. Mi farebbe piacere se il film superasse i confini della sua stessa ambientazione per arrivare a un pubblico diverso, magari essere visto in paesi stranieri con i sottotitoli come accade qui a New York riuscirà a nascondere magari le piccole imperfezioni nella recitazione, oppure alcuni squilibri della sceneggiatura. È una storia universale perché il coming-of-age di Walter doveva essere messo in scena in maniera semplice, diretta, in quanto si tratta di un bambino. Molti discorsi possono anche essere retorici se visti con lo sguardo di un adulto, eppure per il protagonista il mondo funziona in questo modo: è diviso tra bene e male, tra giusto e sbagliato. Lo squalo è certamente una metafora, ma al tempo stesso rimanda direttamente ad altri film iconici. Quello di Steven Spielberg prima di tutto, e non poteva essere altrimenti, ma anche a Vita di Pi nel discorso che riguarda il protagonista e la storia con suo padre.

Il pregio maggiore del film, oltre la resa estetica, sta proprio nella metafora dello squalo che si fonde con la trama in maniera efficace. Sotto questo punto di vista come avete lavorato alla sceneggiatura?

È stato il primo commento che feci alla sceneggiatura quando me la spedirono. Era diversa all’inizio, il plot principale era lo stesso ma alcuni svolgimenti si differenziavano. Ho detto immediatamente a Gabriele Mainetti che volevo un finale in cui ogni spettatore trovasse un significato personale alla vicenda dello squalo. Speravo si sarebbe creata una discussione intorno alla vicenda di questo predatore visto da una prospettiva del tutto nuova. Allo stesso tempo è importante che lo  squalo sia comunque rimasto uno strumento nel racconto di formazione di Walter. Mi interessa mostrare l’animale lontano dalla sua icona di “cattivo”, non intendevo umanizzarlo quanto piuttosto raccontare il suo percorso che lo porta dall’essere in grado di terrorizzare ad aver invece bisogno d’aiuto.

Senza voler ovviamente fare spoiler vorrei un commento sul finale del film, che finalmente va in una direzione differente rispetto al sottogenere che racconta la criminalità giovanile…

Ovviamente mi sono documentato vedendo tutti i film ambientati sul litorale romano, da Suburra a Non essere cattivo. Oppure scendendo più a sud La terra dell’abbastanza, La paranza dei bambini e Gomorra. Tutti lungometraggi che mettono in scena la criminalità in maniera cruda, realistica. Denti da squalo invece propone una versione più favolistica, non vi sono veri cattivi nella storia. Neppure il Corsaro interpretato da Edoardo Pesce, boss che alla fine si rivela più uno zio nei confronti di Walter. Possiede una sua etica e tutto sommato non fa del male  a nessuno. Questa scelta mi è stata dettata dall’incontro col protagonista Tiziano Menichelli, mentre nella prima versione della sceneggiatura la fascinazione della criminalità era molto più evidente, calcata. Dopo aver conosciuto Tiziano ho scelto di virare maggiormente verso una storia che raccontasse l’elaborazione della perdita, la solitudine.

Cosa significa a livello personale presentare Denti da squalo in un palcoscenico iconico come New York?

Con questa città ho un rapporto di odio/amore, perché nel 2011 dopo un periodo abbastanza lungo qui, dove stavo costruendo il mio futuro, sono stato espulso perché trovato a lavorare illegalmente. Un evento che, volendo essere fatalista, mi ha portato poi a vivere a Londra dove ho ricostruito vita e carriera. Sono già tornato due volte a New York, la prima nel 2016 perché invitato a presentare un mio cortometraggio e appunto adesso per Denti da squalo. Mi emoziona sempre rivedere la città, a un livello personale che conta anche più del fatto che sia un luogo leggendario per tutto il grande cinema che vi è stato realizzato. Ho sofferto molto a casa di New York, ma da qualche tempo finalmente ci ho fatto pace…

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