“Siamo partiti da
un’immagine che mia moglie, la sceneggiatrice del film
(Giuditta Tarantelli, ndr), aveva nella testa
– così Mirko Locatelli ha introdotto la genesi del suo film,
I Corpi Estranei, presentata in
Concorso all’ottava edizione del Festival di Roma – Si tratta
di una immagine che risale a vent’anni fa: un uomo solo con in
braccio un bambino in un reparto di oncologia. Quest’uomo solo, con
il suo bambino, era solo un’immagine. Siamo partiti da lì cercando
di immaginare una storia intorno a quest’uomo, perchè spostava
l’attenzione, rispetto al tema della fragilità, dal bambino
all’adulto. Così, nelle nostre ricerche, abbiamo scoperto che nei
casi in cui un bambino ha qualcosa di molto grave, i veri malati
sono i genitori, che non vengono accompagnati per davvero in questo
processo doloroso.”
Giuditta Tarantelli prende la parola chiarendo il concetto: “Tutte le cure sono riservate ai bambini, e l’aspetto psicologico di chi sta intorno al bambino viene trascurato. I genitori sono così chiamati i malati invisibili che hanno lo stesso trauma di chi ha subito una catastrofe”.
Mirko Locatelli: “Abbiamo voluto fare non un film sul dolore, ma sulla fragilità. Il dolore può diventare patetico. Mentre noi abbiamo spostato l’attenzione e abbiamo utilizzato la malattia come pretesto. Per parlare del dolore ci vuole del pudore. Quindi spostando con pudore il tema sulla fragilità, servendoci anche del personaggio secondario, con il quale il protagonista si approccerà e cambierà la sua prospettiva”.
Infatti il protagonista è un uomo
molto fragile. Come si è approcciato Filippo Timi a questo
personaggio?
Filippo Timi: “A sei anni i miei genitori mi portano a Pisa, perché zoppicavo, per un controllo. Poi ho scoperto che il controllo era dovuto alla paura che avessi un tumore alle ossa, ma i miei mi regalarono la prima scatolina di Lego, ed io ero felicissimo. Per fortuna poi stavo bene, ma i miei genitori erano preoccupatissimi perché un bambino con il tumore alle ossa a sei anni, non arriva ai 14.” “Entrando in questo progetto – continua Timi – e leggendo la sceneggiatura mi sono trovato dall’altra parte. In quella occasione ho capito che è impossibile recitare un dolore di un padre il cui figlio sta così male. Ho provato solo a chiudere la porta di quel dolore. Poi non ho potuto recitare molto, perché ho dovuto avere a che fare con il bambino, con il quale non puoi recitare, ma devi solo provare ad entrarci in contatto”.
Jaouher Brahim, co-protagonista con Timi, racconta la sua prima esperienza sul set, e soprattutto la sua scoperta del mondo dietro alla malattia, un mondo fatta di famiglie che soffrono.
Tutte le foto del festival nella nostra gallery:
[nggallery id=325]