Oggi alla Casa del
Cinema di Roma è stato presentato alla stampa il nuovo film di
Louis Nero, Il mistero di Dante, distribuito
in Italia da L’altrofilm. Oltre al regista, in sala erano presenti
il Premio Oscar F. Murray Abraham, gli studiosi Gabriele
La Porta, Valerio Massimo Manfredi, Roberto Giacobbo e il
produttore Franco Nero. Il film sarà distribuito in 30 copie
a partire dal 14 febbraio.
– Qual è il tema che ha cercato di toccare con questo film?
Louis Nero: Ho voluto rappresentare in maniera cinematografica un viaggio, che è anche il mio viaggio personale di conoscenza di Dante e della sua opera. Ho cercato di avvicinarmi alla simbologia che esiste dietro La Divina Commedia, qualcosa di cui – prima di iniziare questo lavoro – avevo solo una vaga idea. Così ho proposto le testimonianze di persone, studiosi e intellettuali, che si sono fatte portatrici di questa nuova interpretazione di Dante e che rappresentano con le loro idee un’apertura mentale sull’argomento.
– Mr. Abraham, cosa ha rappresentato questo film e questo personaggio per lei?
F. Murray Abraham: Io credo che la questione non sia come Dante parla a noi oggi. Il problema sta nell’esaminare l’idea del classico: perché (La Divina Commedia, ndr) è un classico? Perché è qualcosa che ci parla ancora oggi, è qualcosa di universale – anche in tempi come questi, in cui è difficile trovare la speranza. Ma qual è la magia di questo lavoro, cos’è che fa sì che ci influenzi dopo tanto tempo? Forse, anche il fatto che ci ricorda la nostra umanità come qualcosa di comune a tutti. Dante ha visto il Purgatorio e l’Inferno e ha capito che c’è una via d’uscita: questo è un messaggio di cui oggi abbiamo tutti bisogno. Il vostro Papa attuale è un esempio di tutto ciò. Io mi chiedo: come è arrivato Luois Nero a fare tutto ciò? Non è un regista famoso e non ha molti soldi. Dimostra che, se si ha la passione e le idee giuste, si possono fare comunque buoni film. Come è riuscito a mettere insieme intellettuali e studiosi di tutto il mondo? È qualcosa di molto raro.
– Che rapporto ha lei con la cultura esoterica?
Valerio Massimo Manfredi: Anzitutto l’esoterismo è sempre esistito. Nell’antichità c’erano i misteri, e per gli iniziati era così rigorosa la custodia del segreto che la loro violazione avrebbe portato alla pena di morte. Non si voleva inquinare questo tipo di conoscenza. Oggi sappiamo che l’uscita da un’era difficile è spesso senza speranza, e che sempre qualche personaggio che rende questa transizione possibile. Prendiamo, ad esempio, l’Epopea di Gilgamesh: questa ha rappresentato l’uscita dal Neolitico, così come Omero ha simboleggiato l’uscita dall’età del bronzo (un periodo di massacri e cataclismi). Omero è stato semplicemente la punta di un iceberg di cui facevano parte migliaia di cantori di strada… Infine, Dante rappresenta l’uscita da un’era di peste, fame, guerra, e l’inizio del Rinascimento: è lui il Rinascimento. Ogni volta, dunque, c’è sempre un uomo più avanzato, più intenso che trascina l’umanità verso una nuova era. Il pericolo sarebbe considerare questi uomini come appartenenti a sette segrete ecc.
Gabriele La Porta:
Ogni volta che studio questo testo mi rendo conto che mi sono
perso qualcosa. Credo che questo film serva tantissimo, e non solo
ai giovani ma a tutti. Io personalmente sono stato completamente
attratto dal suo aspetto visivo, lo trovo straordinario. Avrei solo
aggiunto un personaggio Dantesco: quello di Cinizza da Romano. Lei
in vita era stata in fondo una peccatrice, aveva avuto tantissimi
rapporti sessuali… eppure, Dante la mette nel Paradiso: perché?
Perché aveva tanto amato.
– Facendo un salto indietro, il ricordo va a quel meraviglioso film che è stato Amadeus. Cosa ha rappresentato per lei e per la sua carriera il personaggio di Salieri?
F.M.A: Nel corso della mia carriera, ho avuto l’opportunità di interpretare personaggi di Pirdandello, Pinter, Shakespeare, Brecht… ma ho potuto fare tutto ciò solo perché ho fatto Amadeus (ride, ndr). Io adoro il cinema, ma la mia vita è il teatro. Il mio lavoro come attore è stato rappresentare l’esoterismo di questi poeti, e portarlo ad un livello molto umano, molto comprensibile. Prendiamo, ad esempio, Il Mercante di Venezia, un’opera che ha avuto un enorme successo un po’ ovunque, in America come in Inghilterra. L’ho fatto una, due volte, e poi dopo averci lavorato per due anni l’ho capito di nuovo, l’ho capito meglio, ho scoperto delle cose nuove. È un semplice esame della verità, ecco perché l’arte esiste, e alcuni lavori d’arte sopravvivono al tempo.
– Il mistero di Dante ha in fondo l’impianto del documentario classico, costituito com’è da una serie di interviste. Per quale motivo ha scelto di inserire il mockumentary iniziale?
L.N: Ho voluto ripercorrere il viaggio di Dante stesso, la discesa-ascesa verso la verità. Prima di conoscere la verità bisogna levarsi le bende dagli occhi, i pre-concetti che avevamo di fronte al mondo.
– Ci parli dell’uso della musica nel film.
L.N: Il suono qui è importante quanto l’immagine, è infatti una delle prime cose che colpiscono e attraggono. Io e il compositore (Steven Mercurio, ndr), presentatomi da Abraham, avevamo lo stesso obbiettivo. Il simbolismo era una parte integrante anche delle musiche, e infatti il musicista ha lavorato partendo dalle immagini. Per queste abbiamo preso in prestito i lavori di Gustave Doré, il quale aveva mirabilmente trasposto in immagini ciò che Dante metteva in parole. Le sue erano immagini già perfette, io non ho fatto un vero lavoro, le ho solo rese un po’ più contemporanee e le ho messe in movimento– la strada però era già tracciata da Doré.