Incontro con Stewart Stern: “Come feci incontrare Jimmy Dean e Nick Ray”

Nella saletta preparata per l’incontro con Stewart Stern, storico sceneggiatore di Gioventù bruciata,  per il quale vinse un Oscar, l’atmosfera è raccolta e intima.

 

E’ uno dei protagonisti del documentario prodotto da Studio Universal e diretto da Francesco Zippel, Hollywood bruciata,che andrà in onda sul canale del digitale terreste il prossimo 7 Novembre.

Siamo seduti accanto ad uno degli ultimi “vecchi” della vecchia Hollywood, se escludiamo Kirk Douglas, ormai ultranovantenne dotato di parlantina un po’ disconnessa come abbiamo visto alla più recente cerimonia degli Oscar, che quindi è tesoriere di un passato che ora è nei libri ma che non ha prezzo se raccontato dalla viva voce di chi lo ha vissuto.

Infatti la prima domanda non può che cadere su come fosse lavorare con James Dean e con Nicholas Ray:

James Dean non si fidava di nessuno, è stato un lavoro fargli capire che si poteva fidare di Nicholas Ray, lui non lo conosceva, ma sapeva che era stato assistente di Elia Kazan, quindi andò a parlare con lui, che gli disse che c’erano tre registi ad Hollywood con cui valeva la pena lavorare: lui stesso, George Stevens e Nicholas Ray. Perfetto, Jimmy stava per iniziare le riprese de Il gigante, la cui regia era appunto affidata a Stevens, quindi Ray rappresentava la chiusura del trittico. Così, per rendere più facile a loro di capirsi, una volta sul set li ho lasciati da soli, con la promessa fatta da Nick, che mi avrebbe chiamato se avesse cambiato anche una virgola nella sceneggiatura, o se avesse avuto problemi di qualunque tipo. Ovviamente non lo ha mai fatto.

Una delle caratteristiche di Nick come regista, è che credeva molto nei giovani attori, e li lasciava liberi sulla scena, quasi permettendogli di dirigerla, questo è avvenuto con Jimmy, ed è stato un buon metodo visto che sul set non era molto malleabile”

Lei ha lavorato con attori indimenticabili della Hollywood degli anni ’50, quale era il loro approccio alla recitazione, improvvisavano per entrare nei personaggi o c’era un lavoro alle spalle?

Quasi tutti gli attori che emersero in quegli anni venivano dalle scuole di recitazione, e in particolare, erano attivi 5 insegnanti, Stanislavsky era ancora vivo e ancora recitava, quindi i punti di riferimento erano diversi. In pratica esistevano due categorie di attori: quelli che lavoravano sul personaggio da dentro a fuori, come Paul Newman, che andava a cercare le emozioni che avrebbe dovuto provare il suo personaggio, e quelli che erano totalmente esterni, e che dovevano lavorare un minimo di più per trasmettere emozioni. Mi ricordo che fu così con Robert Wagner, bello da far svenire tutte le donne, ma assolutamente incapace finchè non lavorammo su come fare per far suo  un personaggio. Poi c’era anche chi era naturalmente dotato, come Liz Taylor, che nel momento in cui veniva dato il ciak, sapeva esattamente cosa doveva fare il suo personaggio, come piangere ed emozionare.

Quali sono le maggiori differenze che nota tra la Hollywood in cui ha lavorato lei e quella di oggi?

Beh, quella di oggi è più tenera con tutti. Veramente. Certo, ci sono dei veri intoccabili, Leo DiCaprio, protetto da Scorsese, è intoccabile, Matt Damon è protetto dal suo grande talento e da uno staff molto organizzato, George Clooney è praticamente uno studio a sè stante. A parte ciò, Hollywood mi sembra molto meno cinica di un tempo, ora quello che interessa è essenzialmente che il film incassi il più possibile nel primo weekend. Non si pensa ad altro.

Jack Warner, negli anni ’50 invece, era un personaggio che discriminava parecchio, in tempi di lotte per i diritti civili, lui continuava a non gradire le persone di colore, tanto che, quando mi propose di scrivere Hotel, un film ad episodi, io inserì un personaggio di colore che non riusciva a farsi dare una stanza a causa della segregazione razziale.

Ero appena tornato dalla marcia da Selma fino all’Alabama, quella a sostegno di Rosa Parks, la domestica che diede il via alla lotta alla segregazione nel 1955, e i diritti civili mi sembravano l’unica cosa buona di cui parlare.

A Jack invece non sembrava, tant’è che mi bandì dagli studios della Warner Bros.

Mi venne fatta giustizia proprio da James Dean, che un giorno prese la targhetta che pendeva fuori dall’ufficio di Warner e che diceva “Jack Warner, responsabile di produzione” e la sostituì con quella della toilette maschile. La povera segretaria di Warner si vide entrare una serie di uomini con la patta aperta, prima che tutto fosse messo di nuovo a posto.

Stewart Stern ha poi incontrato il pubblico dopo la proiezione del documentario Hollywood bruciata, presentato al Festival del Film di Roma.

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