
Il regista e attore
Roschdy Zem ha inaugurato questa mattina, con il
suo film Mister Chocolat, la rassegna
Rendez – Vous con il nuovo cinema
francese, un’interessante iniziativa che avrà luogo
in nove città sparse in tutta Italia e che durerà dal 6 all’11
Aprile. Film d’apertura della rassegna, ma anche anteprima stampa,
visto che la pellicola distribuita dalla
Videa debutterà domani nelle sale
italiane in 140 copie.
Le domande rivolte a Zem investono soprattutto il personaggio che ha portato in scena, quel clown Chocolat talmente famoso (adesso) in Francia da essere stato dimenticato per tanto, troppo tempo dopo un periodo di gloria avuto nei primi anni del XX Secolo. Come ha fatto, il regista, a scoprire questo personaggio? E cosa lo ha attratto?
Zem racconta che l’attrazione per
questo personaggio così particolare nasce dall’incontro curioso tra
cinema e storia, visto che lo storico francese Gerard
Noiriel aveva realizzato un libro sulla vita del
clown Raphael Padilla, una sorta di raccolta- collage di articoli,
immagini e testimonianze dell’epoca. La vera e propria difficoltà,
nel realizzare questo adattamento, è stato affrontare il mondo del
circo, ricrearlo ed evocarlo sulla scena. Fondamentale, a tal
proposito, è stato l’apporto dell’attore James
Thierrèe, co-protagonista di Omar Sy e
nella vita scenografo, danzatore, acrobata, circense (nonché nipote
di Charlie Chaplin): cresciuto fin dall’età di quattro anni sotto
il tendone del circo dei genitori, è stato fondamentale nella
creazione degli spettacoli circensi evocati nel film, e che
contribuiscono a ricreare quel clima fedele alla Belle
Èpoque.
Il personaggio di Chocolat, prima clown, poi attore consapevole ed impegnato ma dalla carriera altalenante, non è raffigurato come una sorta di “santino” (come viene apostrofato dalla stampa) ma come un personaggio a tutto tondo, complesso e dotato di sfumature contradditorie: il suo essere costantemente in bilico tra successo e caduta, redenzione e perdizione, vizio e atti umanitari, sono finalizzati- secondo Zem- ad evitare ogni forma gratuita di pathos e vittimizzazione, per raccontare la storia completa e complessa di un uomo dotato di diritti, che però non aveva avuto niente dalla vita e voleva prendersi tutto e godere di ogni bene che la vita gli offriva. Molti elementi, ovviamente, appartengono puramente al piano della “finzione”, visto che esistevano pochissimi materiali di partenza “completi” sulla vita di Chocolat, e che per tale motivo regista e sceneggiatore (Cyril Gely) si sono visti costretti ad inventare dei passaggi 8anche fondamentali) all’interno del film, piegandoli alle esigenze narrative.
Un’altra domanda riguarda l’approccio che il regista ha avuto verso “la creazione” del personaggio del clown Chocolat e del suo mondo: c’erano già diversi precedenti al cinema- anche francese- che ruotano intorno a tali tematiche, ma Zem ha preferito superare questi precedenti illustri, preferendo anzi una chiave di lettura diversa che ruota intorno ad un tema portante come l’Amore; l’amore non solo è il sentimento che muove molti dei personaggi, ma è soprattutto il legame profondo e inscindibile che lega Chocolat e il suo partner- in scena- Footit: la loro è una vera e propria storia d’amore atipica, basata su un rapporto ambiguo tra dominante e dominato (la coppia comica, “l’augusto” che incassa i calci del “clown bianco”), un difficile rapporto tra una persona che “ama” l’altra perché l’ha creata, a proprio gusto; dall’altra parte c’è invece un altro individuo, incapace di emanciparsi da questo sentimento e dalla lunga ombra del “partner”. Il film è un’allegoria sì della Francia della Belle Èpoque, ma anche della nostra realtà attuale, colta nel difficile passaggio tra immigrazione, integrazione e diversità, tutti elementi difficili da conciliare tra loro.
La presenza di Omar
Sy nel cast si è rivelata fondamentale: senza di lui,
realizzare il film sarebbe stato praticamente impossibile; e non
solo da un punto di vista umano (ha dato un enorme contributo con
la sua presenza, creando un ottimo team di lavoro) ma soprattutto
sul piano commerciale, visto che il film ha richiesto un ingente
sforzo produttivo che, senza la presenza di un attore come lui-
simbolo del nuovo cinema francese, amatissimo in patria e con una
carriera internazionale- si sarebbe rivelata un’enorme perdita
emorragica di denaro. La diversità- uno dei temi “caldi” messi in
scena- passa non solo per il colore della pelle, ma anche per il
gender (basti pensare al discorso sulla parità dei sessi ad
Hollywood) e altre differenze fondamentali che purtroppo non
trovano ancora lo spazio giusto per la loro visibilità: aggiunge
Zem, che se il 95% dei politici francesi sono bianchi e uomini, il
buon esempio dovrebbe partire proprio da lì, dai “piani alti”.
Un altro punto fondamentale- soprattutto a livello artistico- è il passaggio da un mondo “clownesco” e circense a quello, addirittura, del teatro shakespeariano: Chocolat nella realtà non subì (probabilmente) accuse di razzismo in teatro, in un luogo pubblico, mentre si stava esibendo; a dir la verità non portò mai nemmeno l’”Otello” in scena, ma soltanto Mosè in una pièce dove mostrò, realmente, dei gravi problemi di memoria; Chocolat sognava un passaggio gratificante dal circo al teatro e al cinema, ma il pubblico non accettò mai queste ambizioni che nutriva. È recitando Shakespeare che Chocolat “sveste” la sua maschera da clown e decide di tornare a vestire- forse per la prima volta in scena- il ruolo di Raphael Padilla, rinunciando ad una successo duraturo in nome di una causa più alta. Sy era terrorizzato ad affrontare Otello, un vero e proprio mostro sacro per il mondo della drammaturgia. Sy, come molti giovani attori, non viene dal mondo del teatro ma dal cinema, e ritrovarsi a “maneggiare” con cura personaggi del genere (Zem gli aveva consigliati di vedere… l’Otello nella versione di Orson Wells!) permette loro di cambiare forma, di diventare- almeno, per il tempo di un monologo o di una commedia- qualcun altro.
Il punto di vista che il film Mister Chocolat vuole restituire è legato a legato, in definitiva, a doppio filo con la visione di Zem ma anche con una rielaborazione di spunti provenienti dalla realtà, in un mix sospeso tra rievocazione storica e cronaca, ma evitando accuratamente lo stile del documentario.