Philippe Claudel racconta Une Enfance alla Festa di Roma

Philippe Claudel presenta per la sezione Alice nella Città, un film che narra la vicenda di Jimmy, un bambino a cui l’infanzia è stata rubata da una famiglia che versa in condizioni difficili, investendolo di responsabilità che non dovrebbero riguardargli. Il regista si esprime subito riguardo la necessità che la storia narrata possedeva, di essere raccontata con grande aderenza al realismo, evitando artefatti che ne avrebbero potuto minare la forza. È un film – dice – in cui le emozioni non esplodono mai e chiede molto allo spettatore per essere completato.

 

Come nasce il personaggio di Jimmy?

Philippe Claudel: Desideravo fare un film sull’infanzia. Il mio film precedente narrava appunto di un uomo che aveva raggiunto ormai un’età matura e si domandava se fosse riuscito a vivere come voleva la sua gioventù. Dunque mi sono guardato indietro anche io, e ho capito quante cose io abbia imparato durante un’età cruciale come quella tra i 10  e gli 11 anni. È un momento fondamentale in cui delle sensazione, delle emozioni si vivono così intensamente da restarci per sempre. Un altro desiderio che avevo era quello di raccontare il posto geografico in cui sono cresciuto, che ha una zona industriale e un bosco al quale sono molto legato. In questo film ho unito quindi questi miei desideri nella storia di un bambino che cerca di preservare la sua infanzia, mentre gli adulti non intervengono, impegnati a fare altro. Il film è costruito un po’ come un western, c’è un paese che nella stagione estiva si svuota, il cattivo e la donna da salvare.

Spesso i suoi personaggi sono accostabili a delle canzone. Che canzone è Jimmy?

PC: Jimmy è le canzoni della scelta musicale del film. L’artista principale che possiamo ascoltare nel film è Ray LaMontagne, lui fa una musica adatta ai grandi e deserti spazi (ancora il western), ma anche molto intima. L’uso della musica nei miei film è teso a dare un’idea su ciò che sta avvenendo in quel momento all’interno del personaggio, senza necessità di usare tante parole.

Come ha scelto gli attori e che tipo di lavoro ha fatto su di loro?

PC: Il lavoro sui bambini è stato molto semplice. Li ho scelti tra i bambini della mia regione, ho visto 400 o 600 schede e provinato un numero ovviamente inferiore. Con loro abbiamo fatto un lavoro che si è basato soprattutto su esercizi di concentrazione e rilassamento, volevo far capire loro che recitare è una cosa seria. Non ho però mai provato le scene con loro prima di girarle, volevo che ci arrivassero con una certa freschezza.
Per quanto riguarda gli adulti, volevo che fossero sconosciuti, per dare un effetto di realismo al film. Per esempio Pierre Deladonchamps è abbastanza conosciuto per via di un film uscito un anno prima del mio, ma è completamente diverso e moltissimi non lo riconoscono. Per il personaggio di Pris, con Angelica Sarre mi sono trovato benissimo, perché è una delle poche attrici che non si preoccupa di apparire bella, poiché aveva capito perfettamente gli obiettivi del film.

Une EnfancePerché ha deciso di comparire nella scena finale del film?

PC: Non è nel mio stile comparire nei miei film. Mi sono trovato a farlo a volte per necessità, da studente, quando non avevo attori fisici da usare. Qui però mi sono reso conto di quanto fosse autobiografico, non necessariamente per la vicenda specifica, e quanto la figura dell’allenatore, quindi, simbolicamente fosse il mio personaggio. Era come se l’uomo che sono oggi tendesse la mano al bambino che sono stato. Avevo scelto un altro attore per quel ruolo, ma poi mi sono reso conto che quello doveva essere il mio ruolo.

Jimmy non sorride mai, tranne che nel finale, in cui sorride e ci guarda. Come mai la scelta dello sguardo in macchina per chiudere il film?

PC: Nella sceneggiatura avevo scritto che il suo viso si sarebbe illuminato con un sorriso. Mentre giravamo la scena, però, Alexi Mathieu vagava con lo sguardo a destra e a manca. Per cui gli ho detto di guardare noi, dandogli il permesso di fare quello che gli avevo proibito durante tutta la lavorazione. Così lui ha fatto lo sguardo in macchina che avete visto e ci ha commossi così tanto, che mi sono reso conto che non poteva finire altrimenti. È una storia fittizia, che narra però di fatti reali, e il suo sguardo in macchina serviva a richiamare l’attenzione, per far riflettere chi lo guarda sull’emergenza di questi bambini.

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