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Piacere Ettore Scola: presentata la mostra a Cannes 69

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«Appartengo a un mondo in cui il lettino dell’analista aveva sede dal barbiere e alle nevrosi si rispondeva con la passione.»

Una delle più belle frasi di Ettore Scola ricostruisce in fondo quella che era la personalità del grande maestro. Un uomo d’altri tempi. Dedito al suo lavoro senza però sentirsi un privilegiato. Piuttosto un uomo di mestiere.

Così ama ricordarlo chi lo ha conosciuto e amato. Come una persona semplice che non ama “mettersi in mostra”. Per questo quando i due giovani organizzatori di “Piacere, Ettore Scola” – Nevio de Pascalis e Marco Dionisi – si sono presentati da lui con l’idea di creare una mostra dedicata alla sua vita, il regista è sembrato restio sul momento. Perché, come ricorda la moglie del regista, Gigliola Fantoni – una delle ospiti d’eccezione in conferenza – «Non amava che si parlasse troppo di lui, non amava essere al centro dell’attenzione. Voleva solo fare il suo lavoro».

La preoccupazione principale del regista era che questa esposizione si sviluppasse in maniera sbagliata. Per questo inizialmente non era convinto «diceva: “questa mostra non interesserà a nessuno, quello che avevo da dire lo ho già detto con i miei film”.» – ricorda la figlia Silvia – « Invece grazie alla dedizione e all’insistenza di Marco e Nevio, e anche al nostro appoggio convinto, la mostra è stata creata. Ci ha fatto piacere aprire i cassetti e cercare i ricordi. L’esposizione, già inaugurata in Irpinia ha avuto un grande successo. Questa mostra è nata insieme a lui e via via si sta arricchendo anche dopo la sua scomparsa. Basta non esagerare con i cimeli ora che è morto. Perché questo non lo avrebbe mai sopportato».

Piera Detassis, arbitro della conferenza nonché produttrice della mostra tramite la Fondazione Cinema per Roma , si rivolge quindi ai due curatori.

Piacere Ettore ScolaCome è nata questa mostra?

MARCO DIONISI: «La mostra, che si terrà dal 16 settembre al 23 ottobre 2016 al Museo Carlo Bilotti, è la prima monografica sul grande regista. Tutto è iniziato nel 2013, quando siamo andati da Scola per proporgli questa idea, che lo ha lasciato piacevolmente sorpreso. Ci chiese però perché la gente dovesse andare a vedere questo genere di esposizione, a chi potesse interessare. Ma noi eravamo fermamente convinti che, come noi due, anche altri avrebbero amato e apprezzato ripercorrere la carriera del grande maestro. La monografia parte dal raccontare le sue origini a Trevico, fino ad arrivare ai suoi ultimi film, toccando tutte quelle che sono le tematiche care al regista, dalle più desuete a quelle più famose. Abbiamo anzitutto cominciato col raccogliere del materiale a Cinecittà, dove abbiamo scelto e catalogato molta documentazione. Che mano a mano cresceva fino a prendere le forme di una vera e propria raccolta, per prima esposta in Irpinia, luogo di origine del regista. A Roma invece la mostra si presenterà ulteriormente arricchita di materiale. Grazie anche all’aiuto di varie cineteche come quella di Bologna e dell’Istituto Luce. Ma l’aiuto più prezioso ci è pervenuto dalla famiglia, che ne racchiudeva i ricordi più intimi e validi».

Come è stata la collaborazione con la famiglia quindi?

NEVIO DE PASCALIS: «E’ stata una collaborazione molto presente ma che ci ha lasciato spazio. Una presenza discreta che ci ha sempre sostenuto. Ettore ci ha dato grande fiducia che ci ha permesso di andare avanti nelle difficoltà «Il duro lavoro paga sempre» diceva.

Scola è un personaggio complesso ricco di sfaccettature: è stato vignettista, autore di testi comici e televisivi, regista teatrale, ecc. Il nostro obiettivo era quello di rappresentarlo nella sua interezza.

La mostra si costituisce di 9 sezioni a loro volta suddivise in due parti: la prima parte cronologica e la seconda tematica. Nella prima parte ripercorriamo la vita di Scola, dall’infanzia in Irpinia al lavoro per il Marc’Aurelio, dalla collaborazione in Rai agli scritti come sceneggiatore accanto a Ruggero Maccai (ad esempio ne Il Sorpasso di Dino Risi o  in Io la conoscevo bene di Antonio Pietrangeli).

Fino ad arrivare all’intensa carriera di regista, dagli esordi nel 1964 con Se permettete parliamo di donne fino al suo ultimo film Che strano chiamarsi Federico.

La seconda sezione, quella dedicata alle tematiche, riguarda il rapporto tra attori e collaboratori, dentro e fuori dal set. Si evidenzia inoltre la sua passione civile e politica che ritorna in tutte le sue opere. Analizzeremo poi i suoi film di ambientazione romana e la passione per il teatro. Abbiamo anche una sezione dedicata al disegno, che infondo è il fil rouge di tutta la sua carriera e grande amore della sua vita».

Quale era il suo rapporto con gli attori?

GIOVANNA RALLI: «Io e Ettore ci siamo conosciuti giovanissimi, negli anni ‘50. Il film era una delle sue prime sceneggiature Fermi tutti arrivo io, e a distanza di anni ho recitato nel suo primo film Se permettete parliamo di donne, fino ad arrivare al grande successo di C’eravamo tanto amati. Non vedevo l’ora la mattina di andare a lavorare. Ettore ci accompagnava dall’inizio delle riprese fino alla fine, e si preoccupava che “vivessimo” i dialoghi. Lui scriveva il miglior linguaggio del cinema italiano. Non scriveva cose “recitate”, detestava che si recitasse».

SERGIO CASTELLITTO: « Infatti per me è stato anzitutto un grande scrittore, sceneggiatore è quasi riduttivo. Poi ha declinato il suo genio nel disegno e nella comicità,. Ma anzitutto scriveva parole e immagini. E l’ironia era la sua forma di ispirazione principale. La grazia di poter appoggiare la risata alla condizione umana, pur così dolorosa, era una cosa che solo lui sapeva fare così bene».

La mostra sarà presentata a Cannes il 18 maggio in onore dei 40 anni del Premio alla Regia di Brutti Sporchi e Cattivi.