Sguardo torvo. Capelli unti e spettinati. Un lessico dialettale, quasi infantile nella sua immediatezza. Questo è Pericle Scalzone, detto Pericle il Nero, protagonista del romanzo di Giuseppe Ferrandino, adattato per il grande schermo dal regista Stefano Mordini.

 

Prodotta dal suo attore protagonista, Riccardo Scamarcio, la pellicola narra le vicende di questo neo Candide, un (apparentemente) ingenuo criminale che si porta dietro un sacchetto di sabbia come unica arma con la quale compiere il suo mestiere, «fare il culo alla gente» (tag line reiterata fino allo sfinimento, con buona pace del buon gusto). Scagnozzo di Don Luigi, Pericle – nome omen – sodomizza le vittime del suo mandante senza chiedere perché. Si ritroverà tuttavia fautore di un omicidio e quindi costretto a fuggire. Alla sua fuga incessante corrisponderà un’evoluzione interiore che lo porterà a porsi domande sul proprio passato e sulla propria vita.

Spacciato falsamente come thriller, il film in realtà è una trita miscela di luoghi comuni sull’esistenzialismo umano che tocca, ma guarda un po’, persino il cuore di un fuorilegge. Dalla durata interminabile, il racconto si articola di due parti, la prima lenta e piuttosto silenziosa, la seconda più parlata e movimentata. La laconicità iniziale serve evidentemente a presentare un protagonista ancora in divenire, quasi un “uomo bambino” che gira senza una vera arma e obbedisce a ciò che i grandi gli dicono di fare. Ma lo sviluppo del personaggio, come quello del film d’altronde, perdono di consistenza man mano che il tempo scorre e non si respira mai un vero senso del pericolo, come inizialmente tutto faceva presagire.

Se l’intento conclamato di regista e produttore era quello di far emergere la miseria della criminalità, anziché la solita violenza ormai declinata dal cinema in tutte le salse, quello che arriva allo spettatore è un misto di tristezza e incertezza. Quest’ultima dovuta soprattutto dall’incapacità di definire ciò che si sta guardando: non si tratta di un action movie ma non siamo nemmeno di fronte ad una storia impegnata nello stile dei fratelli Dardenne (che pure hanno coprodotto la pellicola).

Girato in chiave intimista, seguendo spesso il protagonista nelle azioni più banali,  Pericle il Nero vorrebbe raccontare un antieroe che in qualche modo redime sé stesso, ma finisce sempre con l’adottare le soluzioni più prevedibili, senza regalare un attimo di suspense, riducendosi ad un racconto infondo sterile se non tedioso. E persino nel finale non ha il coraggio di adottare la soluzione più estrema, limitandosi invece ad un nichilismo di storie e personaggi.

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