Vedendo questo film si
fa riferimento a Un’ora sola ti vorrei c’è un legame
profondo tra quel doc-film e questo lungometraggio?
Alina Marazzi: Si c’è il legame, perché Tutto parla
di te chiude un po’ il ciclo e chiude un po’ i conti con questa
tematica e relazione che era stata già raccontata in Un’ora sola
ti vorrei che è la relazione tra madre e figlia. Quindi
entrambi i film sono esattamente legati e quest’ultimo riprende
proprio là dove Un ora sola ti vorrei aveva lasciato. Qui poi c’è
anche il personaggio della Rampling, donna adulta di un’altra
generazione, proprio perché io volevo fare un collegamento tra
presente e passato, oltre all’ambivalenza della maternità, oltre il
rapporto tra Pauline ed Emma si raccontano delle cose che tra donne
si conoscono bene, il personaggio della Rampling riporta anche un
vissuto del passato che un tempo si chiamava “esaurimento nervoso”
oggi si chiama “trauma post parto”.
Ci sono voluti quattro o cinque
anni per raccogliere tutti i materiali del film, ha creato problemi
nella produzione?
A.M: Questo tipo di film, che si propone per un linguaggio
diverso, è complesso sia da mettere a fuoco a fuoco come progetto a
livello artistico sia come produzione. Però questo tempo di
lavorazione è servito anche per decidere come raccontare questo
argomento, sono partita da un metodo documentaristico e poi si è
imposto il film di finzione. Quindi c’è stato nella fase di
sviluppo e scrittura, che ha preso molto tempo, un tentativo di
mettere su carta e in una sceneggiatura queste idee. Mescolare una
trama di finzione con apporti di documentari, di cinema di realtà,
altri apporti come l’animazione, la fotografia d’autore e altri
elementi che mi piace mescolare insieme; in un film di montaggio
come, Vogliamo anche le rose, era stato più semplice; qui
dovendo inventare e scrivere un film ha preso del tempo.
Elena, a che punto sei entrata
in questo progetto?
Elena Radonicich: Sono entrata in questo film in maniera
molto classica, facendo un provino e poi un altro, conoscendo Alina
ed entrando piano piano in questa realtà che mi era completamente
sconosciuta, (l’attrice non ha figli n.d.a) nel senso che ci
avevo pensato ma non avevo mai ragionato sulle conseguenze che
poteva avere nella vita di una donna, perciò è stato un ingresso
lento e morbido. Anche perché da quando abbiamo cominciato a
lavorarci a quando abbiamo girato e poi concluso, l’arco di tempo è
stato piuttosto lungo perciò c’è stato il modo di creare questa
realtà e poi provare ad esplicitarla.
Elena, che idea ti sei fatta
sulla maternità che il film propone, come opzione di vita e
sensazioni.
E.R: Prima di affrontare questo film le mie idee erano
molto favolistiche, “un giorno amerò qualcuno farò un figlio e sarò
felice” più o meno si sintetizzavano così. Fare questo film mi ha
messo in relazione all’idea che la maternità è uno di quegli eventi
nella vita di una persona che in qualche modo ci riduce in uno
stato di umanità molto profonda e in qualche modo archetipico, come
il dolore e la morte, rappresentano qualcosa di assoluto con cui
fare i conti e io con questa idea non mi ero affatto confrontata.
Perciò il mio personaggio si riduce in uno stato di dolore
indescrivibile, perché la sua sofferenza non è speciale perché può
riguardare tutte. Affrontare quest’idea con l’immaginazione, avendo
solo questa oltre che documentandomi, in qualche modo mi è passata
la paura e ho pensato e realizzato che come spesso accade
affrontando i tabù questi si possono sgretolare nel momento in cui
ci si ragiona e si capisce che sono solo all’interno di un
determinato periodo. Poi io avevo un imbarazzo incredibile nei
confronti del bambino. Nelle scene in cui sono con il bambino, un
po’ tremo io e un po’ trema Emma, perché è una creatura che ti
mette di fronte a qualcosa di profondissimo di te stesso. Io ho
osato e Alina mi ha ben guidata in questa attitudine.
Alina, come è andata con la
Rampling?
A.M: Con la Rampling terrore, molta paura! Ma anche molta
trepidazione, la Rampling è nota ai più per questo aspetto un po’
ieratico con questo sguardo intenso, forte, apparentemente freddo
quello che a me comunica era quello che cercavo per il personaggio
di Pauline che ho trovato e che trovo lei abbia è un misto di forza
e fragilità, di fermezza e irrequietezza, nel suo sguardo e volto
vero di donna matura lei esprime tutta questa complessità. È una
persona estremamente generosa, sia nella relazione sia con me che
con Elena. E nel momento in cui ha sposato il progetto, che l’aveva
coinvolta sia per la tematica ma anche forse per l’approccio, lei
c’è stata al cento per cento senza porre condizioni ed è una
persona anche molto divertente. Come attrice, e lo dice anche lei,
è molto istintiva, benché sia una persona molto intelligente e
riflette molto sulle cose quello che aveva lo porta in maniera
animalesca. Quindi è stata una bella lezione, una bella esperienza
non solo un bellissimo incontro umano personale.
Alina, per la Rampling è stato
anche un ritorno al cinema Italiano.
A.M: Si c’era anche questo fatto, lei con l’Italia ha
avuto un rapporto importante avendo girato film che poi l’hanno
resa famosa. E questa volta di recitare in Italiano, quindi l’ha
presa anche come un aspetto importate, da straniera portare una
fragilità nel parlato. Ha dedicato del tempo per imparare
l’italiano, lingua che conosceva e conosce quindi con una certa
facilità, l’ha imparato per il film e mentre si preparava per il
film a Parigi, lei ascoltava molto la musica italiana proprio per
entrare nella musicalità della lingua ascoltava molto la musica di
Franco Battiato che ha incontrato a Novembre a Roma (Festival del
Cinema di Roma n.d.a)
Elena come è stato il rapporto con la Rampling?
E.R: Il rapporto è stato che non ho parlato per un mese più
o meno perché avevo difficoltà a dire qualcosa di sensato, quindi
l’ho osservata molto e lei ha avuto la grazia di farsi guardare e
mi ha lasciato lo spazio per trovare la calma necessaria a far sì
che io mi relazionassi con lei e io ho riconosciuto in questo suo
comportamento una generosità forte nel saper rispettare questo mio
problema momentaneo! Lei aveva uno sguardo di grande comprensione
sia come donna che come attrice che a un certo punto io al di fuori
dal set non mi sono comportata in maniera diversa dal mio
personaggio. Lei era molto spontanea, conteneva dentro di sé già
tutto e poi lo lasciava uscire e io ascoltando lei ho cercato di
fare la stessa cosa. Quindi il nostro rapporto è stato molto
delicato e io tutte le volte che ero in difficoltà la guardavo e
lei in qualche modo mi calmava, mi rassicurava e sembrava che
mi seguiva come faceva Pauline, ci siamo fatte tutte un gran bel
viaggio, è stato un rapporto molto bello e privilegiato in questa
bolla che era il film tra noi tre si è creato questo rapporto
esemplare nelle relazione femminili, un esempio proprio
bello.
Alina in questo film ci sono molti archetipi che nel cinema
rischiano di diventare dei luoghi comuni, Alina come ha arginato
questo rischio.
A.M: Da un lato servono gli stereotipi al cinema per
rappresentare metodi di discussioni, nel caso della
rappresentazione della maternità non è semplice ma è un po’ quello
che a me profondamente interessava. C’è un discorso che riporta
anche gli altri film miei che è la questione dei modelli, in che
cosa noi donne ci rispecchiamo quali sono le immagini che ci si
parano davanti tanto più le immagini di maternità. Quando si
diventa madri ci si rende conto quanto interiorizzato questo
immaginario della maternità un po’ favolistico, assoluto e di
compimento; e quanto invece magari la nostra esperienza sia lontano
da quello, allora tutti questi specchi che abbiamo davanti ci
rimandano delle immagini di noi falsate e noi dobbiamo interrogarci
sul perché viene prodotto un immaginario della maternità che va
solo in una certa direzione. Nel film vengono usate le fotografie e
altri apporti visivi per creare un cortocircuito e mettere in
discussione queste rappresentazioni e far riflettere sul chi si è e
quali sono le immagini di noi con cui ci dobbiamo
confrontare.
Alina, nel film, credo
volutamente, c’è poca presenza maschile, perché?
A.M: Nella sceneggiatura c’era un po’ di più del
compagno di Emma, ma poi nel montaggio è stato ridotto, dando la
precedenza alle relazioni tra donne, quindi il rapporto
Pauline-Emma e questo luogo in un quartiere che la casa maternità a
Torino, in questa dimensione di gruppo, e soprattuto quello che il
film non fa è rappresentare la coppia e la famiglia. Perché penso
che non sia più così centrale la coppia e la famiglia, se ci
guardiamo intorno, le coppie fanno molta fatica a stare insieme
quando nasce un bambino ancora di più, quindi la battuta di Binasco
che dice “Una coppia è in due loro sono in tre quindi non sono più
una coppia” è abbastanza un equazione esatta. Un bambino mette in
crisi la coppia, oggi noi viviamo la nostra vita con questa
dimensione della famiglia diversa, le nostre famiglie sono forse le
relazioni che noi instauriamo con i nostri amici, i compagni di
lavoro. E a volte penso che nel momento di fragilità come quello
della maternità in cui si fa fatica e si vorrebbe parlare con
qualcuno sarebbe più salutare parlare con qualcuno al di fuori
della famiglia perché nelle famiglie ci sono dinamiche faticose,
complesse e bloccate.
Vedendo i film di Alina Marazzi
si ha l’impressione di assistere a “un epica della normalità” ti
ritieni una regista donna? O il film ha solo una femminilità
di sguardo?
A.M: Si mi sento una regista donna, le antieroine dei
miei film sono persone normali che confidano i loro sentimenti
nelle pagine di diario, del vissuto quotidiano e oggettivo che
riporto sempre nei miei film. Si voglio raccontare questa epica
della normalità, anche l’aver scelto di incentrare il film
“sull’ordinaria depressione” e non “il caso estremo” non voglio
mettere al centro la tragedia e il caso di cui abbiamo bisogno
perché dobbiamo confrontarci, il film vuole dire tutte queste cose
su come raccontare le storie, si non voglio essere una regista, ma
voglio essere una donna!
Tutto parla di voi è un progetto in rete sulla maternità, ispirato al film di Alina Marazzi Tutto parla di te nato per sviluppare in rete i temi affrontati nel film, che è insieme di esperimento di narrazione collettiva e raccolta di testimonianze da parte delle mamme (così come dei papà) per costruire un nuovo punto di vista sulla maternità. www.tuttoparladivoi.com
Il film sarà nelle sale l’11 Aprile con 30 copie.