About endlessness, recensione del film di Roy Andersson #Venezia76

About endlessness

Dopo il meritatissimo e inaspettato Leone d’Oro nel 2014 per Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza, Roy Andersson torna in forma smagliante in concorso alla 76° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, con un nuovo collage di agghiaccianti e gustosi tableaux vivant, che ci costringono a riflettere sulla condizione umana e sulla vita. Il titolo della nuova fatica dell’autore svedese è About endlessness (Om det oändliga).

 

Il film esce dagli schemi e fugge da qualsiasi forma di classificazione, non segue una linea narrativa ed è difficile andare a individuare una trama. Ma è cinema, grande cinema. È un utilizzo puro e intelligente del linguaggio cinematografico come forma di espressione. Dopo “La trilogia vivente”, composta da Song from the second floor del 2000, You, the Living del 2007 e Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza del 2014, incentrata sulle difficoltà dell’essere esseri umani, Roy Andersson continua la sua indagine entomologica sull’esistenza, diventando ancora più caustico e offrendo piccoli quadri spietati che raggelano dietro l’ombra di un sorriso. Si allontana l’idea di avvicinarlo all’ umorismo nero dei Monty Python o alla poesia grottesca di Aki Kaurismaki, come si poteva ipotizzare per il suo lavoro precedente. Qui la lama della sua visione si affila e la sua ironia diviene sempre più gelida, confondendo la risata con un brivido.

About endlessness è composto da tanti piccoli episodi, a camera fissa e con un’unica inquadratura, che descrivono la condizione dolente di tanti personaggi alla ricerca di risposte sulla propria condizione di esseri viventi. Sono uniti tra loro da una voce femminile che, all’inizio di ogni quadro, racconta chi sono, una voce fuori campo che descrive e racconta e si mescola alle richieste o ai lamenti disperati dei fantasmi emaciati che popolano l’universo di Andersson, Sono pupazzi, marionette costrette a recitare continuamente la stessa frase, a interrogarsi all’infinito sugli stessi quesiti esistenziali, senza chiaramente trovare risposta alcuna.

C’è un prete che ha perso la fede e sogna con angoscia di essere crocifisso e vorrebbe essere aiutato da uno psicologo che teme di perdere l’autobus, un uomo tormentato da un suo vecchio compagno di scuola che non lo saluta, una donna che ha paura che nessuno l’aspetti alla stazione, un padre che accompagna la figlia a una festa di compleanno e si ferma per allacciarle le scarpe sotto una pioggia torrenziale, un uomo col mal di denti che rifiuta l’anestesia e urla facendo spazientire il dentista. Tante storie, o meglio tante non-storie, che è bello scoprire una dopo l’altra, sperando non ci riguardino. Ma proprio quando ci si sente al sicuro, ridendo delle tormentose divagazioni di questi dannati anderssoniani, ecco che un nuovo tableaux tocca un tema o una sensazione che ci tocca. Così il sorriso scompare, si avverte una strana sensazione allo stomaco e partono ricordi profondi che ci rendono protagonisti di ciò che credevamo di osservare a distanza, con distacco e magari scherno o altezzosità.

Il cinema di Andersson è pittura vivente e nel suo dipingere sullo schermo omaggia e rilegge l’opera di tanti pittori. Edward Hopper per esempio, tenuto come solido canovaccio visivo per impostare la fotografia, immersa in una luce livida e innaturale, che priva i personaggi di ombre e nascondigli e che crea un mondo immaginario, metafisico, specchio dolente del reale. Ma c’è anche Marc Chagall, con il suo dipinto più famoso Sopra la città del 1914/1918, che in apertura di film e anche tra i vari teatrini, prende vita, grazie all’interpretazione di due attori in carne e ossa, che volano abbracciati sulle rovine di una città distrutta dalla guerra.

Roy Andersson racconta: “La cornucopia è il mitico corno di una capra ed è ricolma di simboli di ricchezza e abbondanza. Di solito è rappresentata traboccante di prodotti e di frutta di ogni genere: un’abbondanza generosa che, secondo il mito, non diminuisce mai, perché vera e propria rappresentazione dell’inesauribilità infinita. È stato il mito greco a ispirarmi a unire tutte queste scene, tutti questi temi in uno stesso film. Io voglio sottolineare la bellezza di essere vivi e umani, ma per dimostrarlo ci vuole un contrasto, bisogna rivelare anche il lato peggiore. Questo film è sull’infinità dei segni dell’esistenza.”

About endlessness è uno sketch-book animato che ritrae gli interrogativi di un’umanità ormai sbandata, alla ricerca di barlumi di speranza che gli restituiscano labili motivi per non lasciarsi morire d’inedia. Roy Andersson riempie pagina dopo pagina, affannandosi con matite e acquerelli, realizzando un bestiario umano prezioso e impenetrabile ai più.

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