Assandira, recensione del film di Salvatore Mereu #Venezia77

Ambientato nella Sardegna degli anni '90, il film è stato presentato Fuori Concorso alla 77° edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

assandira

A otto anni da Bellas Mariposas, Salvatore Mereu torna al cinema con Assandira, torna così a raccontare la Sardegna, con un occhio affezionato e allo stesso tempo crudo, spietato su un rapporto tra uomo, tradizione e ambiente che diventa feroce e tragico. Per farlo si serve del volto scavato di Gavino Ledda, già autore di Padre Padrone e qui interprete di Costantino, un pastore sardo completamente vittima di se stesso e degli eventi.

 

È su un suo primo piano sofferente e graffiato che si apre il film, sotto una pioggia torrenziale, mentre su luogo di un incidente, la cui natura è difficile da identificare da subito, si aggira come un fantasma, rifugiandosi su un pagliaio, farneticando, in una profonda e toccante voce fuori campo che percorre tutto il film, su senso di vergogna e dolore. La storia è ambientata negli anni Novanta, quando la moda degli agriturismi che facevano conoscere la vita di campagna ai turisti stranieri e cittadini divenne una moda. Mario, unico figlio di Costantino, torna nel suo paesino d’origine in Sardegna con la moglie tedesca, Greta, con una proposta per il vecchio padre: trasformare un vecchio podere in un agriturismo, uno spiraglio di riqualificazione, modernità e soprattutto di ricchezza, in una terra di pastori, semplice e antica, ancorata alla tradizione ma non abituata a mostrarsi. Comincia così per Mario e Greta, e solo dopo per Costantino, una avventura che sembra eccitante e nuova e che, piano piano, si trasforma in qualcosa di pericoloso e tragico.

La terra e la carne di Assandira

Salvatore Mereu si attacca ai volti dei suoi protagonisti, attori professionisti e non, che si mettono a nudo, carne e anima, davanti alla camera. E l’occhio del regista va proprio a scavare nella terra e nei pensieri, specialmente di Costantino, la cui voce ci guida in una storia che adotta il linguaggio del thriller investigativo, costruito su flashback e testimonianze, e progressive rivelazioni. Un approccio accattivante ad una storia che si fa indagine antropologica di una semplicità della vita di campagna che viene contaminata dal progresso, quel turismo moderno, invasivo e invadente. I gruppi rumorosi di tedeschi e danesi non sono interessati alla verità della vita dei pastori, ma sono intrattenuti da una rappresentazione della stessa che sfocia nella farsa e nell’esagerazione di luoghi comuni, con il personaggio di Greta che diventa ammaliatrice, promotrice, artefice principale dell’azione.

La giunonica donna si pone in mezzo a due uomini a loro modo simili, per quanto è bionda e vitale lei, sebbene portatrice di una doppiezza strisciante e ambigua, sono scuri, pelosi, rugosi padre e figlio. Mario è una vittima consapevole, si piace scientemente al volere della moglie, mentre Costantino, da restio e conservatore, si fa sedurre dal corpo della donna, dalla sua vitalità, dalla sua apparente purezza, soprattutto dalla fisicità calda di Greta. Una scelta che lo porterà poi alla rovina.

Un paradiso terrestre pronto a distruggersi

Assandira è un posto magico, un piccolo paradiso costruito su un sogno, ma proprio come il paradiso terrestre custodisce un’insidia, un pericolo, un lato oscuro che finirà per devastarlo. Attraverso il volto segnato, sempre in primo piano, dell’ottimo e profondo Ledda, Salvatore Mereu racconta una fiaba dall’esito tragico, adotta il linguaggio del thriller investigativo e offre una riflessione antropologica su un dialogo vizioso tra passato e presente, dove il primo è stuprato e strumentalizzato da un presente sempre più annichilito dalla noia.

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