Be my voice, recensione del film di Nahid Persson

Be my voice è il nuovo documentario della regista e attivista iraniana Nahid Persson. Cresciuta all’alba della rivoluzione khomeinista e diventatane pienamente partecipe durante l’adolescenza, Nahid risiede da tanti anni in Svezia, ma da più di quindici denuncia e porta alla luce con la sua macchina da presa i crimini del regime iraniano.

 

Accusata e incarcerata per il suo Prostitution behind the veil del 2004, ma che viene riconosciuto e premiato in più festival internazionali, prosegue la sua attività giungendo fino a raccontare la storia di Farah Pahlavi, l’ultima imperatrice in carica in Iran nel momento in cui la rivoluzione del 1979 ne destituì il ruolo, costringendo all’esilio lei e il marito. The Queen and I, questo il titolo, viene presentato al Sundance Film Festival nel 2009, dove vince il Gran premio della giuria.

La storia vera di Be my voice

Questa volta, a destare il suo desiderio di raccontare, è Masih Alinejad, una sua compatriota che tredici anni fa aveva dovuto lasciare l’Iran e vive oggi a New York insieme al marito. Masih è una giornalista di quarantacinque anni che inizialmente esercitava la sua professione nel suo Paese, intervistando con acume e audacia i politici che portano avanti le ormai ben note, agghiaccianti, leggi sulle donne. Tanto si era spinta in là con il suo lavoro battagliero e costante, che aveva necessariamente dovuto continuare a farlo dall’estero. E una delle prime campagne che aveva inaugurato attraverso i social, era stata “My Stealthy Freedom”, nella quale incoraggiava le donne che ne sentissero il desiderio, di riprendersi con la videocamera del proprio smartphone mentre si toglievano l’hijab. Il senso del gesto, naturalmente, non stava nel rifiuto del velo di per sé, quanto delle scellerate conseguenze messe in atto da parte delle autorità (ma anche di alcuni semplici cittadini) di fronte al minimo accenno di comparsa dei capelli.

In appena novanta minuti di documentario, le due donne si confrontano, facendo volteggiare i ricci, parlando con veemenza dell’assedio a cui può condurre un’ideologia, soprattutto quando è atta a esercitare il controllo su qualcosa che è delirante anche solo pensare di poter controllare: le persone.

Masih è appassionata e passionale, balla scalza sotto la pioggia, strepita e si getta a terra piangendo di fronte alle migliaia di video che le vengono inviati da donne e uomini che lottano con un coraggio sovrumano, coscienti che la destinazione dei loro gesti sarà il più delle volte la repressione, la prigionia o la pena capitale.

La giornalista cura la rubrica televisiva “Tablet” sulla rete statunitense Voice of America nella quale, in lingua farsi, svela la ferocia con cui il comando del partito religioso agisce verso chi cerca di esprimere la propria libertà.

È di forte impatto l’alternanza dei tremendi video amatoriali inviati a Masih, con i suoi racconti personali, le spiegazioni dei suoi spostamenti, delle sue scelte. Perché le accuse che muove contro il governo iraniano prestando oggi la propria voce a chi è oppresso – il “be my voice” del titolo, appunto – sono le stesse che già da bambina pronunciava con forza, vivendole sulla sua pelle, quando voleva correre in bici proprio come suo fratello.

E così la macchina da presa di Nahid Persson la segue e coglie il tormento di Masih Alinejad: il privilegio che sa di possedere nel vivere in un paese libero e il pensiero che talvolta le serpeggia di sentirsi una fuggitiva rispetto ai suoi connazionali. Ma la verità è che la sicurezza che genera in chi sente la propria storia raccontata da lei, sui social network o in tv, gli dà la forza per continuare a reagire davanti all’ingiustizia. A lei e a coloro a cui fa da megafono.

Gli interrogativi che pone Be my voice, insieme ad un totale senso d’impotenza, sono decisamente molti. Ma è interessante quanto, dopotutto, sia facendo esattamente ciò che di meglio si sa fare che, a volte, si può cambiare il mondo. Ed è espresso nell’intreccio di due donne che, nel raccontare la storia l’una dell’altra, fanno da eco ad un’intera popolazione che, altrimenti, sarebbe rimasta schiacciata da chi pensa di stringere in pugno le sorti dell’umanità.

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RASSEGNA PANORAMICA
Samanta De Santis
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