La realtà che diventa digitale e si trasforma, in un certo senso, nella mente umana, con le sue connessioni, i suoi percorsi inafferrabili e inconsistenti, i suoi cortocircuiti. Blackhat mette in scena una storia classica con criteri moderni e un approccio al racconto e alla ripresa che, in barba al moderno stile da pubblicità che impera a Hollywood, fa riconoscere in ogni fotogramma la mano e la “grana” del maestro: Michael Mann è tornato.
In Blackhat Hathaway (Chris Hemsworth) è un hacker che sta scontando una pena per aver duplicato delle carte di credito. L’Fbi però ha bisogno di lui per sgominare un cyber terrorista che ha fatto saltare in ria una centrale nucleare in Giappone e che rischia di provocare altri ingenti danni alla popolazione mondiale. L’uomo passa le sue giornate in cella ad allenare la mente e il corpo, e nella sua avventura cibernetica e metropolitana, dovrà mettere a frutto tutte le sue doti, per sopravvivere e compiere la sua missione.
La sospensione del tempo e l’incredibile attenzione alla contemporaneità, le folle e i colori, gli sguardi e i corpi, la città e le metropolitane, Michael Mann, completamente e volutamente ignaro dello stile cinematografico che si aggiorna e che si evolve (o forse involve?) ci regala un altro saggio di cinema, perfettamente coerente con la sua poetica digitale che tanto ha fatto discutere all’inizio e tanto invece ora affascina l’amante del cinema di grande classe.
Il botteghino non si rivolterà mai, purtroppo, per un film di Mann, ma sicuramente il mondo del cinema conserverà sempre un posto d’onore a un regista che nella sua maturità artistica continua a costruire un percorso tangente alle regole di Hollywood, senza mai scendere a compromessi. Pur avendo scelto come protagonista un volto da cinecomics, Chris Hemsworth, Mann lo spoglia del suo glamour e lo incasella perfettamente secondo le sue necessità, facilitato anche dalla predisposizione che ha Hemsworth a farsi guidare e modellare quando è nelle mani di grandi registi (vedi Rush). Anche in questo caso l’attore australiano fa il suo lavoro, e nelle mani del grande Michael si trasforma in un protagonista ideale.
I percorsi della mente di Hathaway sono quelli contorti di un circuito, impalpabili eppure estremamente reali nelle conseguenze sul nostro mondo; così anche Mann, personaggio ora fuori tempo nel mondo del cinema, riesce sempre, con la personalità che hanno solo i maestri, ad affermare il suo essere autonomo, sperimentale e allo stesso tempo tradizionale, solido, grande.