Vecchio e nuovo mondo sono separati da distanze geografiche e culturali che gli anni delle grandi migrazioni hanno cercato di ridurre. Lo sbarco a Ellis Island fa parte ormai dell’immaginario collettivo come una pagina di storia tragica e al tempo stesso colma di speranza; al cinema, l’ultimo tentativo di dare corpo alla difficile ambientazione di un’immigrata ci è stato offerto da The Immigrant di James Grey, un lavoro dalla forte vena politica. Brooklyn invece lascia fuori quella “maturità” perché racconta “gli inizi” della vita. Soprattutto è un film molto femminile, e lo si intuisce dalle prime inquadrature. L’occhio cerca nient’altro che volti di donne, lo fa con una certa insistenza e con una delicatezza pronunciata, com’è delicata la Eilis Lacey ritratta da Saoirse Ronan.
Spinta dall’insoddisfazione e dal bisogno, una giovane ragazza lascia la terra natia, un piccolo paese dell’Irlanda, per sognare una vita diversa in America, là dove il tempo scorre velocemente e le etnie del mondo convivono in pace, o almeno è ciò che sembra. Lo scontro culturale e il percorso di ambientazione sono il cuore pulsante di questo dramma che ha la forza di un sospiro, mai esagerato nel raccontare il dolore lasciato alle spalle e la paura di ritrovarsi in un contesto nuovo ed estraneo; il fascino della pellicola di John Crowley appartiene a epoche passate di cui abbiamo dimenticato la bellezza estetica e la dignità di espressione, entrambi valori rimessi in gioco dalla piacevolissima sceneggiatura di Nick Hornby. Contrariamente al taglio cinico e stralunato delle sue opere letterarie, la scrittura cinematografica rivela un’anima oltremodo elegante, sospendendo giudizi morali sulla società e limitando al minimo le estremizzazioni caratteriali dei personaggi.
In questo,
Brooklyn somiglia a An
education, opera scritta dallo stesso Hornby e sempre
legata ad un problema di “ambientazione” con protagonista una
donna. Per Eilis, ogni cosa si riduce ad essere parte di un viaggio
di formazione, che preso al principio attraverserà difficoltà e nel
suo divenire conoscerà anche dolcezza e amore. Le lunghe attese, i
corteggiamenti beneducati, il senso di solitudine poi, vengono
messi in scena da una meravigliosa
Saoirse Ronan: nel volto porcellana
dell’attrice sono disegnati i tratti riservati di un’inadeguatezza
al luogo, quella New York calderone di razze e stili di vita, al
progresso sociale testimone di una rivalsa femminile nel mondo del
lavoro, infine alle palpitazioni del primo innamoramento.
Poco importa se la regia assai scolastica e i reparti tecnici non elevino il film alla dimensione dell’indimenticabile, poiché sono la semplicità dell’insieme e l’umore generale a rendere Brooklyn un episodio sensibile, che scivola via nell’intera durata come il tocco di una carezza sulla guancia. Se non è femminile tutto questo, cos’altro?