Dorian Gray: recensione del film con Colin Firth

Dorian Gray

Dorian Gray è un film che vuole sottolineare la sua autonomia rispetto all’opera da cui è tratto a partire dal titolo: il film di Oliver Parker è infatti ispirato al capolavoro dell’eccentrico Oscar Wilde, Il Ritratto di Dorian Gray, ma ne prende le distanze poiché volto a sottolineare gli aspetti più vari del personaggio di Dorian.

 

Se il romanzo muoveva dal ritratto e lasciava immaginare al lettore i vizi del protagonista, senza mai esplicitarli (ad eccezione di un delitto molto rilevante da lui commesso), il film è incentrato totalmente sulla figura di Dorian. Apprendiamo diversi aspetti del suo passato e tangibile è la sua evoluzione: ingenuo ventenne egli diventa poi un uomo corrotto dedito al piacere che maturerà infine la distinzione tra piacere e felicità.

Sedotto dalle parole di Lord Henry Wotton, Dorian Gray deciderà di vendere l’anima pur di conservare in eterno bellezza e giovinezza: a invecchiare è il suo ritratto, che riporterà tutti i marchi della sua progressiva depravazione. Il ritratto è una presenza oscura il cui orrore è intuibile per gran parte del film, per poi essere esplicitato in scene molto efficaci. Molte inquadrature adottano il suo punto di vista quando è l’anima di Dorian a scrutare dopo essere indagata. Originale e di forte impatto la scelta di rendere il ritratto una creatura viva e orripilante, che marcisce ed emette spaventosi suoni: di grande suggestione l’uso degli effetti speciali, soprattutto nel finale che lascia un po’ stupito lo spettatore (e l’appassionato del romanzo).

Dorian Gray è un dark come previsto, con una nota horror accentuata

Il film è dark come previsto, con una nota horror accentuata. Le scenografie, gli ambienti vittoriani e la fotografia fredda e cupa contribuiscono a rendere più tenebrosa la vicenda narrata. Il tono dark è evidenziato anche dalla suggestiva colonna sonora composta da Charlie Mole, mentre l’accurata ambientazione è consolidata dagli ottimi costumi d’epoca di Ruth Meyers. Dorian Gray non è però un’opera esente da difetti: la prima parte è certamente superiore alla seconda, nella quale la sceneggiatura prende maggiormente le distanze dall’opera di Wilde; a partire dal personaggio inventato di Emily Wotton sino al finale, di certo spettacolare ma anche un po’ distante dal romanzo. Degna di nota è anche un’anticipazione narrativa: il delitto commesso da Dorian avviene molto prima del previsto e non nell’ultima parte della vicenda, come nel romanzo.

Ma Dorian Gray non può essere apprezzato se paragonato al capolavoro di Wilde: bisogna guardarlo come un’opera a sé. È però opportuno sottolineare che lo spirito del romanzo è conservato nel film e che trovano spazio anche gli aforismi più amati. Il protagonista non sarà biondo e dagli occhi azzurri come nell’opera originale, ma ha gli occhi e il volto di Ben Barnes, che di fascino non manca: e l’obiettivo di Parker è proprio quello di insistere sull’idea che gli ideali della bellezza mutano con il tempo, ed è per questo che Dorian Gray è un giovane dagli occhi e capelli scuri. Tuttavia, come il film insegna, non bisogna soffermarsi sull’aspetto: per questo è necessario riconoscere che la prova di Ben Barnes supera certamente  le aspettative. Il giovane attore è espressivo e incarna perfettamente il Dorian ingenuo e corrotto poi.

Notevole anche l’interpretazione di Colin Firth: Henry Wotton è di certo un personaggio che si discosta dai ruoli interpretati da lui in passato, ma l’attore si dimostra assolutamente all’altezza del mordace e filantropo tentatore che influenza Dorian. Buone anche le prove di Ben Chaplin, ovvero il pittore Basil Hallward, e Rebecca Hall (Emily Wotton). Al di là del tema dell’immortalità, sempre attuale e riprodotto nel film come nel libro (“Sono un dio”, dice Dorian), Dorian Gray è quindi un film che sarà apprezzato da chi non indugerà nel paragone con il romanzo. Certamente non è un film che lascia indifferenti, ma che susciterà impressioni positive o negative a seconda dello spettatore. E come ci ricorda Oscar Wilde: “Vi è solo una cosa al mondo peggiore del far parlare di sé, ed è il non far parlare di sé”.

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