Felicità: recensione del film di e con Micaela Ramazzotti #Venezia80

Opera prima della Ramazzotti, Felicità ha il merito di saper raccontare ciò che non si vede.

Felicità Micaela Ramazzotti
Foto di Lucia Iuorio ©

Nel film Gli anni più belli Micaela Ramazzotti interpreta Gemma, una donna che ad un certo punto del racconto si confessa e ammette di star attraversando innumerevoli tempeste, ma che nonostante questo è alla ricerca della propria felicità e che prima o poi è certa che la troverà. Sembra quasi nascere da qui la storia di Desirè, la protagonista del primo film da regista della Ramazzotti che si intitola, non a caso, Felicità. Presentato nella sezione Orizzonti Extra della Mostra del Cinema di Venezia, il film è un’opera prima che colpisce sia per l’attenzione della debuttante regista ai dettagli, sia per l’argomento che sceglie di raccontare.

 

La Ramazzotti, anche protagonista del film, sceglie sì – saggiamente – di rimanere vicina a contesti che cinematograficamente conosce bene, dalle periferie romane a personaggi calamite di problemi, ma anche di affrontare tematiche dal forte impatto in quanto particolarmente urgenti nell’attuale società italiana. Relazioni tossiche, inadeguatezza ad essere genitori e, soprattutto, disagio e depressione giovanile. Il suo Felicità è dunque ricco di contenuti che potremmo definire tosti da affrontare e digerire, ma che la Ramazzotti sa stemperare con una leggerezza e una comicità amara che ha appreso dalle sue tante collaborazioni.

Felicità, tra genitori oppressivi e figli smarriti

In Felicità si racconta la storia di una famiglia “storta”, di genitori egoisti e manipolatori (Max Tortora e Anna Galiena), un mostro a due teste che divora ogni speranza di libertà dei due figli. Desirè (la stessa Ramazzotti), acconciatrice per set cinematografici, si rivela allora la sola che può salvare suo fratello Claudio (Matteo Olivetti), frustrato dall’incapacità di trovarsi un lavoro e smarcarsi dall’ombra dei due genitori. Per lui, ma anche per sé stessa, Desirè si troverà allora a lottare contro tutto e tutti, anche contro l’oppressivo compagno Bruno (Sergio Rubini), in nome dell’unico amore che conosce, per inseguire un po’ di felicità.

La prima volta di Micaela

Le opere prime, si sà, sono pericolose. Bisogna avere qualcosa da dire, bisogna sapere come dirlo altrimenti si rischia di non offrire nulla al proprio pubblico. La Ramazzotti sembra essere stata consapevole di tali rischi, evitati grazie al suo decidere di raccontare una storia in parte ispirata a qualcosa di autentico, come da lei dichiarato. Qualcosa che conosce, che sa indagare e rappresentare. Ci si potrebbe lamentare che di storie su famiglie problematiche se ne vedono tante nel cinema, ma l’ambizione con Felicità non è necessariamente quella di raccontare una storia originale, l’importante è che sia autentica.

Questa autenticità la regista la trova grazie ad una serie di dettagli che ci raccontano i personaggi meglio di tante parole. Basta un’inquadratura di Desirè che fruga nella borsa del fratello, trovandovi pasticche e un gratta e vinci usato, per raccontarci ciò che sullo schermo non viene mostrato. Un “dietro le quinte” che apre dunque le porte dell’immaginazione dello spettatore, arricchendo così il racconto. Allo stesso tempo, la Ramazzotti limita i virtuosismi che si potrebbe essere tentati di utilizzare, specialmente alla prima esperienza come regista, confezionando un film contenuto, focalizzato sui personaggi e le loro vicende.

Felicità recensione
Foto di Lucia Iuorio ©

Raccontare ciò che non si vede

Scritto dalla Ramazzotti insieme a Isabella Cecchi e Alessandra Guidi, Felicità non è esente da alcune ingenuità tipiche delle opere prime, come la rappresentazione di alcune situazioni o la risoluzione di alcune linee narrative. Lo stesso finale, ad esempio, avrebbe probabilmente meritato una maggiore attenzione in fase di scrittura, in quanto così com’è potrebbe risultare troppo brusco nel suo svolgersi, smorzando le emozioni che sì sono fin lì suscitate. Ma davanti a tali difetti si può chiudere un occhio, considerando che si ha con Felicità avuto il coraggio di portare sul grande schermo una serie di tematiche che raramente trovano spazio, nel cinema con nei dibattiti quotidiani.

Parlare di disagio giovanile è un conto, addentrarsi nel bosco oscuro della depressione un altro ancora. La Ramazzotti non si fa però spaventare e sceglie di andare a raccontare ciò che non si può vedere, quella malattia della mente tanto sottovalutata quanto pericolosa. Sono dunque capaci di catturare l’attenzione le scene dove si prende di petto tale argomento, che il giovane Matteo Olivetti prende in modo convincente sulle proprie spalle. Il suo volto diventa la lavagna su cui la regista va a lavorare, costruendo per Claudio un netto abisso tra mondo interiore ed esteriore.

C’è dunque molta attenzione nei confronti di un tema così delicato, così come ce ne è nel raccontare di quanto i genitori o in generale gli appartenenti ad una generazione differente, sottovalutino il problema. In questo deserto delle emozioni, il rapporto tra Desirè e Claudio è allora un punto di calore particolarmente forte. Dal loro rapporto si sprigionano una serie di sensazioni, sentimenti e preoccupazioni che arrivano anche allo spettatore, rendendolo partecipe del loro legame. Insomma, la Ramazzotti si contiene da un punto di vista formale per lavorare sui contenuti, rendendo così Felicità un’opera prima decisamente notevole.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
felicita-micaela-ramazzottiPer la sua opera prima Micaela Ramazzotti rifugge dagli eccessi per lavorare sui contenuti, andando a costruire una storia se non originale quantomeno con il merito di portare sul grande schermo una serie di tematiche verso le quali sarebbe bene rivolgere maggiori attenzioni. Supportata da un cast di convincenti interpretazioni, la regista dà così vita ad un debutto da non sottovalutare.