Festa di Roma 2015: Office 3D recensione del film di Johnnie To

Orologi enormi ed edifici che sembrano enormi costruzioni giocattolo: Johnnie To costruisce il suo film incastrandolo in una scenografia  (affidata a William Chang e Yau Wai Ming) di stampo teatrale. A metà tra commedia musicale e dramma grottesco, Office 3D è una feroce critica verso l’assetto societario cinese basato saldamente sullo sfruttamento lavorativo del ceto basso borghese e la paura patologica del tempo.

 

Il signor Ho (Chow Yun Fat), proprietario della società miliardaria Jones & Sunn, che sta per diventare pubblica, ha promesso all’amministratore delegato, sua amante da oltre vent’anni, che ne diventerà la maggiore azionista. Durante questo processo di transizione vengono inseriti nello staff Li Xiang e Kat , due stagisti che si troveranno a essere, loro malgrado, al centro dell’intrigo creatosi all’interno dell’ufficio.

I dipendenti del signor Ho passano quasi l’intera giornata nel loro spazio di lavoro che va a coincidere pericolosamente con l’unico spazio vitale davvero vissuto, a cui per istinto di sopravvivenza hanno dovuto dedicare tutto il loro tempo e la loro forza, dimenticandosi di avere qualcosa o qualcuno al di fuori di esso, nella corsa senza vincitori verso il successo.

I personaggi di To non hanno spessore, forse perché hanno dato l’anima a un lavoro che li rende schiavi senza mai renderli liberi, e ogni giorno mettono in scena il loro personale spettacolo. La svolta musical, oltre a divertire, rende il film per certi versi spaventoso: nessuna emozione traspare dai volti degli attori, che hanno memorizzato la coreografia come dei robot e la seguono alla perfezione mentre le temute lancette dell’orologio scorrono. Il tempo è denaro e il denaro e l’ambizione sono le uniche cose rimaste a queste persone.

Sebbene tutte le componenti del film siano coerenti tra loro e si riconoscano in una struttura narrativa tesa verso un duro humor nero, la visione appare faticosa, a volte noiosa e spinta fin troppo al limite.

Privo di un vero protagonista, poiché teso a rappresentare la spersonalizzazione che la società stessa incoraggia, il film mette in seria difficoltà la capacità dello spettatore di entrare nel suo mondo.

Di fronte a personaggi per i quali sembra essere stato scritto poco e niente, l’empatia di chi guarda non può attivarsi e, sebbene questo renda chiaro il messaggio del regista, non per forza deve bastare allo spettatore per andare avanti fino alla fine del film, la cui durata (119’) appare dunque eccessiva.

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