La Foresta di Ghiaccio: recensione del film di Claudio Noce

La Foresta di Ghiaccio è il secondo lungometraggio del regista Claudio Noce dopo il successo internazionale di Good Morning Aman, presentato in molti festival internazionali.

 

Nella nuova pellicola La Foresta di Ghiaccio, per raccontare una storia dalle sfumature noir sceglie il contrasto accecante della candida neve trentina, narrando la storia di un piccolo paese alpino la cui quiete viene turbata, all’improvviso, dall’arrivo di una tempesta e da un mistero inquietante che aleggia nell’aria; ad accorgersene subito è Pietro Fanin, un giovane tecnico specializzato che viene chiamato per riparare un guasto nella centrale elettrica locale ad alta quota: nel frattempo, qualcuno scompare. E un cadavere, di una giocane donna africana, viene ritrovato al confine con la Slovenia. Così, i misteri locali si mescolano con le vite di Pietro, di Lana- poliziotta slovena inviata ad indagare sotto copertura, che si presenta come una zoologa- degli operai della centrale ma soprattutto dei due fratelli Pietro e Secondo, stesso padre ma madri diverse, diversi e affini perché entrambi sembrano essere a conoscenza di torbidi segreti che non possono- e non vogliono- rivelare per non turbare la tranquilla quiete del paese.

La Foresta di Ghiaccio, il film

La diegesi del film segue il classico iter tipico del racconto- o della sceneggiatura- noir, giocando sulle ambiguità, i “non detti”, i chiaroscuri che dipingono i personaggi, pronti a muoversi sulla scena sempre alla costante ricerca di qualcosa: uno scopo, un ideale, una vendetta. I protagonisti de La Foresta di Ghiaccio non sono immuni a questa logica, mostrando tutti quanti un carattere schivo, ambiguo, sospettoso come il paesaggio innevato che fa da sfondo alle loro vicende umane. Il chiaroscuro sembra essere l’elemento costante- e caratterizzante- di questa pellicola: il bianco e il nero dominano la fotografia e gli esterni, quasi tutti girati di notte o nelle limpide giornate dopo il bianco della neve risplende accecante; il binomio tra i due colori contraddistingue la morale di tutti i personaggi, sospesi tra dannazione e redenzione, peccato e pentimento, vita e morte; bicolore sono le azioni e gli intenti che muovono Pietro, Lana, Lorenzo, Secondo, Dario e gli altri sulla scena, trasformando la trama in un intricato gioco di specchi dove niente è come sembra.

Nonostante questi apprezzabili intenti, il film dilata la narrazione rendendo il ritmo scarsamente incalzante- in fondo, stiamo parlando di un thriller/noir creando un ibrido che troppo spesso perde di vista i classici colpi di scena o la tensione narrativa utile a far proseguire l’andamento della macchina di celluloide; Noce troppo spesso si abbandona a delle trovate visive  liriche che appesantiscono il film e non trovano posto nell’economia asciutta del prodotto audiovisivo.

Brillano gli attori che sembrano avere le facce giuste al posto giusto: Adriano Giannini languido cowboy di montagna, Ksenia Rappoport coriacea e testarda come l’impervio paesaggio trentino ed un imponente Emir Kusturica, qui in veste d’attore, aggressivo e taciturno come un lupo delle montagne.

 

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