Glass: recensione del film di M. Night Shyamalan

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Arriva nelle sale italiane il 17 gennaio 2019 Glass, il film di M. Night Shyamalan che chiude la sua trilogia supereroistica e che vede tornare protagonisti Elijah Price (Samuel L. Jackson), David Dunn (Bruce Willis) e Kevin Wendell Crumb (James McAvoy) con tutte le sue personalità.

 
 

Realizzare un sequel è una scelta rischiosa, soprattutto quando si tratta di materiale originale. Ma decidendo di chiudere la sua ideale trilogia, Shyamalan si è andato a ficcare in un vicolo molto stretto, visto che più che un terzo capitolo di un trittico, Glass è a tutti gli effetti un crossover che mescola i toni e i personaggi di Unbreakable e di Split.

Il primo elemento rilevante è appunto l’adozione delle atmosfere di Split, toni thriller horror dunque, e lo stile di regia di Unbreakable. L’esito è contrastante. Da una parte Shyamalan si conferma maestro dello studio dell’inquadratura, delle trovate di regia, del punto di vista che adotta per inquadrare la scena ma anche della costruzione visiva del racconto in cui ogni emozione e personaggio è caratterizzato da una scelta cromatica precisa: il viola è la calma meditabonda della mente criminale, il verde è la salda serenità dell’eroe, il giallo è la schizofrenica esuberanza del villain e delle sue personalità.

Glass è un crossover tra Unbreakable e Split

D’altra parte il film sceglie un comparto sonoro che ricorda moltissimo quello di Split e si libera quindi della possente onda emotiva veicolata dalla colonna sonora che James Newton Howard compose all’epoca per Unbreakable e che in questo contenso fa sentire la sua mancanza.

Da un punto di vista della scrittura, Glass risente della necessità di Shyamalan di spiegarsi con i suoi spettatori. Il suo grande amore per i fumetti viene trasformato in più di una occasione in dichiarazioni e dialoghi goffi che suonano proprio come se lo stesso regista fosse a parlare direttamente al pubblico. M. Night si fa dunque divulgatore di cultura “fumettara” in un’epoca in cui la cultura pop ne è già intrisa.

Nella sconfinata (ma comprensibile) presunzione di creatore di universi condivisi in cui la realtà è popolata di essere straordinari così come li leggiamo nei fumetti (e li vediamo al cinema), Shyamalan tenta di portare di nuovo sul grande schermo una visione autoriale del supereroe, come fu nel 2000: ecco che l’azione è spesso vista in soggettiva, o fuori campo, o attraverso barriere che possono essere una finestra o il vetro di un furgone blindato. Un linguaggio raffinato e personale, che rischia di risultare vecchio all’occhio assuefatto all’azione caotica e frenetica, spiattellata sotto al naso dello spettatore.

Unbreakable – Il predestinato (2000) e Split (2016) sono due film compiuti, autoconclusivi e che stabiliscono una semplice verità: i supereroi esistono e sono tra noi. Da una parte abbiamo l’affermazione di David Dunn, come Guardiano che assume il suo ruolo di difensore dei più deboli, dall’altra c’è Kevin, con il suo disturbo di personalità, che abbraccia la sua natura di villain. Buoni contro cattivi, come è sempre accaduto nel grande schema dell’universo.

Ancora una storia di origini

Che senso può avere dunque Glass? Già dal titolo, Shyamalan sembra darci la sua indicazione fondamentale: il protagonista è Elijah. Il personaggio che vede la sua determinazione nell’esistenza del suo opposto nel film del 2000 (l’uomo che si rompe le ossa a ogni urto che incontra l’uomo apparentemente indistruttibile), è ancora alla ricerca di se stesso, del suo posto nel mondo e del bisogno di conferma, un po’ infantile, che “non è stato un errore della natura”.

In quest’ottica, una delle chiavi di lettura del film sembra darcela proprio il personaggio interpretato da Samuel L. Jackson, che nel terzo atto spiega il suo progetto: non un grande spettacolo finale, con l’eroe contro la bestia, ma una nuova storia d’origine, la sua, in cui conosciamo il vero scopo de L’Uomo di Vetro.

In quest’ottica, Glass è il dramma di un uomo che ha impiegato tutta la vita a trovare il suo posto nel mondo. Da questo punto di vista, il film rintraccia moltissimo della poetica classica del regista, che risale ai suoi film più riusciti di inizio carriera.

M. Night Shyamalan dice più di quanto non riesca a far arrivare allo spettatore, per questo Glass si rivela essere un ingranaggio non perfettamente oliato, ma non per questo privo di fascino. Il “pensiero felice” dell’appassionato di fumetti M. Night viene affidato al finale del film: i supereroi esistono, sono in mezzo a noi e devono avere la possibilità di accogliere la loro alterità. Da parte dell’uomo comune, quello senza super poteri, c’è bisogno soltanto di un atto di fede.

Glass, il trailer del film

Sommario

Ancora una volta M. Night Shyamalan dice più di quanto non riesca a far arrivare allo spettatore, per questo Glass si rivela essere un ingranaggio non perfettamente oliato, ma non per questo privo di fascino.
Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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