Henry: recensione del film di Alessandro Piva

Henry

Tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Mastrangelo, Henry è un film diretto da Alessandro Piva ambientato a Roma, città eterna anche dal punto di vista cinematografico per essere stata popolata dai più svariati personaggi visti in molte opere.

 

In questo caso si viene immersi fin da subito in uno scenario della città piuttosto inedito (almeno a livello cinematografico, salvo rari casi), dove l’elemento noir spadroneggia incontrastato. Una nota di merito va a Piva innanzitutto per aver allestito un cast che, seppur non composto da grandissimi nomi, incarna alla perfezione gli scopi  del regista: all’inizio facciamo la conoscenza del tossicodipendente Rocco (Pietro di Silva) e Spillo (Max Mazzotta), il pusher, che raffigurano superlativamente il degrado e nichilismo presenti nel film. In realtà è proprio la relazione tra i due a costituire la miccia che da il via alla trama di Henry: dopo la morte di Spillo, Rocco coinvolge nella vicenda  la vicina Nina (Carolina Crescentini) assieme al fidanzato Gianni (Michele Riondino), anche lui tossicodipendente. Sulla morte del pusher inizia a indagare il poliziotto Silvestri (Claudio Giannelli) insieme a suo partner, ma ben presto tale indagine avrà implicazioni ben più gravi di quanto previsto: una banda di africani, capeggiata da Henry, vuole inserirsi sul mercato della droga, ma dovranno fare i conti con il monopolio mafioso che non starà lì a guardare.

La peculiarità narrativa di Henry consiste proprio nel creare da un singolo omicidio nel far nascere un drammatico vortice, dove tutti i personaggi, poliziotti compresi, vengono risucchiati con conseguenze drammatiche.

 La parte migliore del film Henry è la caratterizzazione dei personaggi, perfettamente calati nella propria parte. Tra questi comunque il più riuscito resta senz’altro Rocco, un povero diavolo tossicodipendente ma, in realtà, principale responsabile delle disastrose conseguenze in cui i protagonisti incappano.  Anche gli scenari del film, dove i sobborghi popolari fanno da padrone, contribuiscono efficacemente alla costituzione di un soggetto ben studiato e realizzato. Nonostante questo Henry non può essere annoverato tra i capolavori del 2012: manca infatti alla trama quel quid decisivo che avrebbe permesso al film di fare un importante salto di qualità. Forse il regista voleva solo fornire al pubblico un volto di Roma nascosto e conosciuti da pochi, ma l’inserimento del meta cinema, dove gli attori si confessano davanti alla telecamera, fa pensare a come Piva si sia troppo concentrato su un aspetto dell’opera trascurando il resto. Ed è un vero peccato, perché le basi per un film importante c’erano tutte.

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