
Una New Wave
sembra essersi abbattuta sul cinema italiano degli ultimi 18 mesi,
segnati da una nuova volontà di sperimentare e rischiare da parte
degli autori, dei registi, degli attori ma soprattutto delle case
di produzione e distribuzione, che sempre più decidono di correre
dei rischi in prima persona investendo su film indipendenti. Anche
la terza fatica cinematografica di Giorgio Amato
rientra di diritto in questa categoria: Il
Ministro è una commedia low budget che recupera la
tradizione “pura” della commedia italiana, mettendo in scena un
valzer di meschinità grottesche sullo sfondo dell’Italia di oggi,
che non è poi cambiata così tanto rispetto a quella immortalata
negli anni ’60-’70 dai grandi Maestri del nostro cinema
(Mario Monicelli, Dino Risi, Pietro Germi, Luciano
Salce e molti altri) con la loro buona dose di cinismo e
disincanto.
Ne Il Ministro la domanda fondamentale che supporta la vicenda mostrata- dotata di un ferreo impianto teatrale, caratterizzato dall’integrità aristotelica spazio/temporale– è: dove siamo disposti ad arrivare pur di ottenere un favore da qualcuno potente che conosciamo?
Franco (Gianmarco Tognazzi) sembra pronto a tutto pur di ottenere un appalto stratosferico per la sua ditta, perfino organizzare una “cenetta” a casa sua- con la benedizione di sua moglie Rita (Alessia Barela)- invitando un famoso onorevole (Fortunato Cerlino) e assecondando ogni suo vizio, da Bacco al tabacco fino ad arrivare a Venere: per tale motivo incarica il cognato Michele (Edoardo Pesce) di occuparsi di tutto, partendo dall’acquisto della cocaina fornita da un noto strozzino (detto “Er Pitone”) fino a contattare una escort per la serata. Ma la ragazza ha un incidente, e al suo posto l’uomo recluta una ballerina di burlesque cinese (Jun Ichikawa) che si concede il privilegio di tenere sul filo l’esito della serata, mostrandosi non troppo disponibile a concedere le sue grazie all’arrogante politico, ed innescando così un crescendo di situazioni degne di una pochade.
Amato riesce a ri-aggiornare la commedia in quanto genere, senza tradire la sua abilità nella scrittura della suspense, qui non al servizio di un thriller (come nei film precedenti Circuito Chiuso e The Stalker) quanto di un frenetico ed indiavolato valzer degli arrivi e delle partenze, con porte sbattute ed entrate a effetto (come nella migliore tradizione della commedia ungherese); un film a basso budget che riconferma le potenzialità dell’impianto teatrale al cinema, della grammatica della “buona scrittura” al servizio di piccole storie, che si trasformano repentinamente in macro-affreschi autoriflessivi della condizione storico-socio culturale di un paese. Più che la regia, agli occhi degli spettatori risaltano le interpretazioni degli attori: misurate ed equilibrate, non scadono mai in mere macchiette ma si trasformano, progressivamente, nelle casse di risonanza delle molte voci del popolo italiano (medio).