In another country: recensione del film

Dalla fantasia di una ragazza in In another country nascono tre diverse storie in forma di sceneggiatura, tutte ambientate nella piccola cittadina coreana di Mohang, in riva al mare, dove la ragazza si trova assieme alla madre. Protagonista dei tre “episodi” è un’affascinante donna francese, Anne/Isabelle Huppert, che alloggia in un albergo della costa. Nel primo episodio è una regista in vacanza con una coppia di amici coreani. L’uomo è visibilmente attratto da Anne, ma deve fare i conti con la gelosia della moglie. Nel secondo episodio Anne è la moglie di un industriale coreano. Trascorre un giorno in albergo, dove la raggiungerà il suo amante: un famoso regista. L’incontro tra i due si svolge con tre modalità alternative differenti (è sempre la mente della ragazza a immaginare come si potrebbe dipanare la sceneggiatura, decidendo di volta in volta di cambiare dei particolari).

 

Nel terzo episodio, Anne è stata appena lasciata dal marito coreano per una connazionale di quest’ultimo ed si è concessa una vacanza con una sua amica per dimenticare il vecchio amore. Incontra in albergo un famoso regista in vacanza con la moglie incinta. L’uomo è affascinato da Anne e la porta con sé in riva al mare, nonostante rischi di essere sorpreso dalla moglie. Qui la variante è rappresentata dall’incontro con un monaco buddista, cui Anne rivolge alcune domande esistenziali. In tutti gli episodi, poi, la donna, che passeggia per la cittadina in cerca di qualche attrazione da vedere – un faro in particolare – s’imbatte nel bagnino, che sempre subisce il suo fascino e gentile quanto insistente, tenta un approccio.

In another country poster

In another country, il film

Con questo lavoro del 2012, presentato in concorso al 65° Festival di Cannes, il regista Hong Sang-soo realizza una commedia leggera, ma che non rinuncia a un’ironica riflessione sul processo creativo del cinema, sul mito cinematografico dell’amore romantico, sul fascino magnetico della donna francese, a tratti coinvolta, ma più spesso algida, distaccata, un po’ cinica – interpretata con eleganza e giocosità da Isabelle Huppert. Ma guarda  anche col sorriso ad alcuni tratti tipici coreani: l’essere donnaioli degli uomini, la gelosia delle donne, l’insistenza e la cocciutaggine. Senza dimenticare poi la figura del monaco buddista che, così come tratteggiata dal regista, smitizza totalmente queste figure di religiosi svelandole nella loro umanità e mettendo in luce l’assurdità di quanti si affidano a loro per trovare risposte o capire sé stessi. Molti buoni spunti, dunque.

Tuttavia, In another country perde freschezza nella seconda parte, quando l’espediente della sceneggiatura inventata inizia a rivelare i suoi limiti. Ossia un certo meccanicismo, che riflette certo la natura meccanica di rapporti umani  in fondo aridi e l’inevitabile solitudine esistenziale, sintetizzata nella figura della protagonista che s’incammina di spalle su una strada vuota. Ma esso è anche ciò che impedisce un reale coinvolgimento  dello spettatore, che finisce per restare a guardare con un certo distacco un abile divertissement. L’ambientazione scelta per i tre episodi è la stessa ed è molto semplice, spoglia, unico elemento visivo a variare sono gli abiti indossati dalla Huppert. In another country sarà nelle sale italiane dal prossimo 22 agosto, distribuito da Tucker Film.

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