Karate Kid: Legends: recensione del film con Jackie Chan

Nelle sale italiane da giovedì 5 giugno, prodotto da Sony Pictures e distribuito da Eagle Pictures.

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Con Karate Kid: Legends (qui per approfondire), il franchise inaugurato nel 1984 da Ralph Macchio e Pat Morita torna sul grande schermo con un nuovo capitolo che, pur attingendo a piene mani alla nostalgia, cerca anche di dire qualcosa di nuovo. E, sorprendentemente, ci riesce – almeno in parte.

Un’operazione audace: fondere passato e presente

Diretto da Jonathan Entwistle (The End of the F**ing World*), Karate Kid: Legends si presenta da subito come un’operazione audace: fondere passato e presente, arti marziali cinesi e giapponesi, icone come Jackie Chan e Ralph Macchio, in un racconto che tenta di accontentare nuove generazioni di spettatori senza alienare i fan storici. Il risultato è un film che traballa, corre, inciampa e si rialza, proprio come il suo giovane protagonista. Ma nel farlo, conquista.

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Karate Kid Legends: da Pechino a New York

Al centro della narrazione c’è Li Fong (Ben Wang), adolescente emigrato da Pechino a New York insieme alla madre iperprotettiva (Ming-Na Wen), dopo una tragedia familiare che ha lasciato cicatrici profonde. Appena arrivato a Manhattan, Li si ritrova invischiato in una situazione che coinvolge Victor (Joshua Jackson), un pizzaiolo con il vizio del gioco e dei debiti con un losco strozzino (Tim Rozon). Invece di combattere per sé, Li inizia ad allenare Victor per un torneo di boxe, in una dinamica mentore-allievo che ribalta gli schemi consueti. Ma il colpo basso che priva Victor della vittoria risveglia in Li vecchi traumi e lo spinge a scendere in campo, stavolta davvero, sotto la guida di due maestri d’eccezione: l’iconico Mr. Han (Jackie Chan) e il leggendario Daniel LaRusso (Ralph Macchio).

Karate Kid: Legends – Cortesia Sony Pictures

Un mosaico di generi

La trama è un mosaico di generi e suggestioni: dal dramma familiare al racconto di formazione, dalla commedia scolastica al torneo da videogioco live-action. E proprio in questo caos controllato risiede parte del fascino del film. Il rischio di “troppa carne al fuoco” è reale – ci sono almeno tre film potenziali compressi in 94 minuti – ma il ritmo è sostenuto, le scene d’azione abbondano, e i momenti di cuore non mancano.

Ben Wang, volto Disney già rodato, si cala nel ruolo di Li con carisma e vulnerabilità, offrendo dei lineamenti atipici e simpatici a quello che una volta sarebbe stato un “belloccio che non si valorizza” (vedi Macchio nel film originale). La sua chimica con Sadie Stanley (Mia, la figlia di Victor e interesse amoroso) funziona senza mai sfociare nel sentimentalismo stucchevole e Joshua Jackson, ormai lontano dai tempi di Dawson’s Creek, interpreta un padre sull’orlo del baratro con sorprendente gravitas e notevole presenza scenica. Ming-Na Wen sembra invece fuori parte, forse perché da un momento all’altro ci aspettiamo di vederla sferrare un colpo di kung-fu… colpo che puntualmente non arriva (non da lei, almeno).

Le vere leggende del film

Ma l’evento più atteso era senza dubbio l’incontro tra Jackie Chan e Ralph Macchio, che poi sarebbero le VERE leggende del titolo. La loro alleanza arriva forse un po’ troppo tardi nel corso del film, e viene introdotta con una certa goffaggine narrativa. Tuttavia, quando finalmente condividono lo schermo, l’energia cambia. C’è una strana, inaspettata alchimia tra i due – Chan porta la sua inconfondibile comicità fisica, Macchio una malinconia che riecheggia la figura del defunto Mr. Miyagi. Alcuni momenti, come la rievocazione di un vecchio insegnamento o un semplice sguardo tra i due, riescono a evocare emozioni autentiche e non solo nostalgia preconfezionata. Anche perché il film abbraccia ogni aspetto della contemporaneità senza mai lasciarsi andare al sentimento passatista in agguato, osando persino nella messa inscena e nella scelta di integrare al live action grafiche da videogame.

Visivamente, Karate Kid: Legends non ha particolari guizzi: le scene ambientate per le strade di Atlanta (che qui fingono di essere New York) hanno una buona vitalità urbana, mentre i combattimenti – sebbene talvolta troppo stilizzati – offrono coreografie divertenti e accessibili al pubblico più giovane. E parlando di pubblico: il film sembra pensato per loro, per quella nuova generazione che magari conosce il mondo di Karate Kid solo tramite la serie Netflix Cobra Kai.

Karate Kid: Legends – Cortesia Sony Pictures

Luci e ombre di Karate Kid: Legends

Non tutto però fila liscio. Il villain principale, Conor (Aramis Knight), è poco più che un bulletto con la faccia arrabbiata, e alcune trovate di sceneggiatura – come un cameo pubblicitario decisamente cringe – spezzano il patto con lo spettatore, il suo ruolo è fortemente stereotipato, anche se viene il sospetto che in sceneggiatura il personaggio fosse meglio tratteggiato. Inoltre, la presenza di due mentori porta con sé una certa confusione tonale: il film sembra indeciso tra omaggio affettuoso e operazione commerciale.

Eppure, nella sua imperfezione, Karate Kid: Legends funziona. Forse proprio perché non cerca mai di essere qualcosa che non è. È un film che mescola generi, emozioni e linguaggi con la spensieratezza di chi sa che l’essenza del racconto è sempre la stessa: imparare a rialzarsi dopo una caduta. E in questo, Li Fong è un degno erede di Daniel-san.

Un ponte tra generazioni

Per chi ha amato il film originale, Legends rappresenta un tuffo nel passato condito da qualche sorriso malinconico. Per i neofiti, è un’avventura dinamica e divertente, con un protagonista in cui è facile immedesimarsi. E per tutti gli altri? È una scusa perfetta per rispolverare la vecchia bandana e ricordarsi che, a volte, anche due vecchi maestri possono insegnare qualcosa di nuovo.

Karate Kid: Legends
2.5

Sommario

Eppure, nella sua imperfezione, Karate Kid: Legends mescola generi, emozioni e linguaggi con la spensieratezza di chi sa che l’essenza del racconto è sempre la stessa: imparare a rialzarsi dopo una caduta. E in questo, Li Fong è un degno erede di Daniel-san.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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