#RomaFF13: La Diseducazione di Cameron Post, la recensione del film di Desiree Akhavan

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1993. Sullo schermo scorre la fotografia sbiadita di un’epoca che sembra già lontana: è la sera dell’evento più importante nella vita sociale di un teenager americano, il prom, e Cameron Post viene sorpresa dal suo fidanzato mentre sta avendo un rapporto sessuale con l’amica Coley nel retro della sua auto. La famiglia conservatrice, allarmata, spedisce la ragazza in un centro di terapia di conversione per giovani omosessuali dove potrà essere curata e disintossicata dal “demonio”.

Nell’inizio di The Miseducation of Cameron Post (in italiano La Diseducazione di Cameron Post) opera seconda di Desiree Akhavan, non c’è nessuna scoperta di sé o dichiarazione romantica come nei film di John Hughes, ma un brusco ritorno alla realtà peggiore, un taglio netto con tutte le fantasie che il genere teen ha montato sull’iconografia dei balli scolastici. Respingente, invece che inclusivo, il mondo al di fuori è un posto orribile dove poter vivere liberamente la propria giovinezza, in cui le infinite possibilità dell’adolescenza – fase transitoria della vita in cui si prova e sperimenta – vengono ridotte ad una triste negoziazione con chi ci governa.

Il tempo del film racconta bene l’inquietudine e l’’insicurezza degli Stati Uniti negli anni in cui si moriva di AIDS e l’omosessualità veniva trattata come patologia clinica, ma soprattutto quando i diritti della comunità LGBT non esistevano e i mezzi di comunicazione di massa (cinema e tv in particolare) non contribuivano alla rappresentazione della diversità sociale come fanno oggi. Tuttavia non è il contesto storico ciò che interessa alla regista, e nemmeno cercare ossessivamente il pretesto per un atto politico, ma riflettere sulla tossicità di un sistema familiare che riversa i propri errori sulle nuove generazioni; di fatto gli adulti di The Miseducation of Cameron Post sembrano spettatori catatonici del cambiamento sociale, incapaci di capire cosa sta succedendo nel mondo, di cogliere i bisogni dei figli e aiutarli nel momento più difficile.

E se fossero loro i soggetti da curare? E se in questa fotografia del 1993 si nascondesse tutto il rancore, ma anche i sogni e le speranze della Akhavan (classe 1984) rivolti a chi l’ha preceduta e a chi verrà dopo di lei? Il punto di vista è lodevole e perfino originale in certi frangenti, ma le manca ancora il graffio dei grandi autori.

Trailer di La Diseducazione di Cameron Post

Cecilia Strazza
Cecilia Strazza
Nata a Roma nel 1990, Cecilia Strazza si è occupata per anni di analisi del film e critica cinematografica, collaborando con le riviste online Cinefilos.it e Sentireascoltare.com. Con Bakemono Lab ha pubblicato i volumi “Don’t you (forget about me): il cinema teen di John Hughes”, “Just like honey: il cinema di Sofia Coppola”, e con Bietti il saggio “Greta Gerwig: lo sguardo nuovo del cinema femminile“. Insieme a Chiara Guida e Davide Cantire è autrice e conduttrice del podcast “Cinema e…” e dal 2020 lavora in Wildside.
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Non è il contesto storico ciò che interessa alla regista, e nemmeno cercare ossessivamente il pretesto per un atto politico, ma riflettere sulla tossicità di un sistema familiare che riversa i propri errori sulle nuove generazioni.#RomaFF13: La Diseducazione di Cameron Post, la recensione del film di Desiree Akhavan