Le donne del 6° piano: recensione del film di Philippe Le Guay

Le donne del 6° piano

In Le donne del 6° piano Jean-Louis è un agente di cambio che vive un’esistenza monotona, scandita dai ritmi sempre uguali del lavoro e da quelli ugualmente poco vivaci della vita famigliare, tra un moglie  troppo attenta ad apparenza e formalità e la poca comunicazione coi due figli pre-adolescenti. Sarà un gruppo di cameriere spagnole con la loro umanità calorosa e debordante a restituire al protagonista il gusto dei rapporti umani prima e dei sentimenti poi,  attraverso la storia d’amore con una di loro.

 

Le donne del 6° piano sarebbe passato probabilmente inosservato dalle nostre parti se non fosse stato per il successo riscosso in Francia (2 milioni di spettatori raggiunti in poco tempo), che gli ha fatto guadagnare la classica definizione di ‘caso cinematografico dell’anno’. La storia ce la racconta Philippe Le Guay, praticamente sconosciuto dalle nostre parti, e autore non troppo prolifico (“Le donne…” è la sua quarta pellicola in oltre vent’anni): il ‘canovaccio’ potrebbe forse apparire poco originale (il tipo un pò ‘piatto’, che sommerso nell’anonimato di una vita fin troppo convenzionale, ritrova il piacere della vita), così come lo svolgimento all’insegna di una certa prevedibilità, ma alla fine il tutto viene presentato con modi tali da poter sorvolare sulla scontatezza, anche grazie a una sorta di cambio di registro in corso d’opera: laddove ormai sembra di essersi incanalati nei binari della farsa, ecco che si devia verso la commedia sentimentale.

Una scelta comunque azzeccata, il cui limite è che forse il cambio di traiettoria è un pò  improvviso: a un certo punto le risate si esauriscono, e nel proseguio prevalgono i sentimenti, il film perde di ritmo e coesione, con sequenze che finiscono per sembrare un pò ‘giustapposte’, rendendo meno fluido lo scorrimento della storia. A salvare il film ci pensano comunque gli interpreti, a partire da Fabrice Luchini (una lunga carriera nel cinema francese, dall’esordio di In ginocchio da Claire di Rohmer, a Potiche – La bella statuina di Ozon) nel ruolo del protagonista, capace di dare vita a quel personaggio che, prima in modo titubante e poi sempre più convinto, si fa travolgere dagli eventi, con una mimica efficace sia nel suscitare la risata, che nell’evocare maggiore riflessività; con lui le convincenti Sandrine Kiberlaine (una moglie a cavallo tra conspavelozza e voluta indifferenza di fronte al mutamento del marito), Natalia Verbeke (che dipinge con delicatezza la cameriera della quale il Jean-Louis si innamora, dominata dalle incertezze derivanti da un vissuto in parte drammatico).

A fianco a loro naturalmente spicca il gruppo di esuberanti signore, guidate dall’attrice – feticcio di Alomodòvar, Carmen Maura, tra le quali vi è  un’altra frequentatrice abituale dei set del regista spagnolo, Lola Duenas.  Non a caso, la presenza delle due interpreti, accomunate alle altre dalla provenienza spagnola nella finzione cinematografica, può ricordare certe ‘comunità’ dei film di Almodòvar,  finendo in certi frangenti per spingere ad immaginare cosa sarebbe stato questo film nelle sue mani, senza peraltro nulla togliere alla capacità di Le Guay di dare comunque vita a un film gradevole.

Le donne del 6° piano pur con qualche passaggio a vuoto resta infatti un film efficace, divertente, che riesce a strappare in più di un’occasione risate di gusto, e che oltre a raccontarci il ritorno alla vita di un individuo schiavo delle sue abitudine, ci racconta anche di quanto il contatto con altre culture e modi diversi di affrontare la vita alla fine possa essere via per migliorarsi: un messaggio più che mai necessario in tempi nei quali l’immigrato è vissuto fin troppo spesso come una ‘minaccia’ o, nel migliore dei casi, come un problema del quale liberarsi in fretta.

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