Le mura di Bergamo, la recensione del documentario di Stefano Savona

Il film documentario che racconta l’arrivo della pandemia di COVID-19 in Italia.

Nel marzo 2020 la città, dentro le sue mura, è un corpo malato. È un insieme di cellule, di tessuti, di organi che non riescono più a comunicare. Le strade si sono svuotate, gli scambi azzerati, gli incontri proibiti. Disconnesso dagli altri ogni corpo è solo all’interno delle sue mura. Le Mura di Bergamo è un docu-film che crea connessioni tra memoria e futuro, per accompagnare questa collettività, lungo le prime fasi della paziente opera di ricomposizione di quel tessuto intimo, familiare e sociale, che la pandemia ha lacerato.

 

Il protagonista de Le mura di Bergamo è la città, un corpo sociale che, come ogni organismo vivente, è costituito innanzitutto dalle infinite connessioni tra le sue parti. Le parole, gli sguardi, i gesti, i silenzi che questa narrazione testimonia sono un tentativo di rendere conto di qualcuna di queste connessioni, con la speranza che, rendendole visibili, il racconto cinematografico possa contribuire a consolidarle. Dopo tre anni dall’inizio della pandemia che ha sconvolto il mondo, Stefano Savona arriva al cinema con il suo documentario che di focalizza sulla città italiana dove tutto è iniziato. Una città che si è riunita nell’abbraccio delle sue mura.

Le mura di Bergamo, la recensione

Il corpo della città è un organismo devastato che prova a reagire. Medici, infermieri, pazienti, volontari, e anche chi non ha vissuto direttamente il dolore della malattia cerca un proprio ruolo nel processo di guarigione collettiva. Raccogliere e raccontarsi le storie di chi non c’è più diventa una maniera per rielaborare il lutto privato e collettivo e per ragionare sul bisogno di una nuova ritualità della morte. Le mura di Bergamo diventa un supporto emotivo. Il documentario di Stefano Savona, soprattutto all’inizio è volutamente disturbante con le inquadrature reali di quello che succedeva dentro l’ospedale di Bergamo, dentro le incubatrici e reparti di terapia intensiva.

Forse troppo presto per raccontare questo tipo di realtà, come dicono gli stessi protagonisti del documentario, ma chi siamo noi per non raccontarla? Nessuno vuole rinnegare il passato e voltare le spalle, tutti cercano risposte e le cercano tra le persone che hanno accanto. Anche lo spettatore è come ipnotizzato da questo racconto dove le immagini in ospedale, crude e terribili, si intervallano video in bianco e nero di realtà ormai passate, di abbracci mancati e di gioventù perduta. La catastrofe umanitaria, come si è definita, non riguarda solo i morti di pandemia ma queste famiglie, per chi ha lavorato nel settore ospedaliero e per chi è stato lasciato senza un supporto.

I sopravvissuti al Covid-19 si tengono compagnia, cercano di mandare avanti le loro vite con dignità. Si raccontano le atrocità che hanno visto e vissuto sulla propria pelle, dei compagni di stanza che lottavano come loro ma che non ce l’ hanno fatta. Di mariti, padri, mogli, figli che la malattia ha portato via. Restare in vita per loro è come una condanna perché gli ricorda cosa hanno perso e cosa hanno subito. I sopravvissuti lottano, ma sono allo stesso tempo dispiaciuti di avercela fatta a discapito di membri della loro famiglia. La realtà de Le mura di Bergamo è una realtà che abbraccia tutti, come le mura abbracciano la città, le stesse mura si trasformano in braccia di volontari che aiutano come possono, con ogni mezzo a loro disposizione.

Raccontare è già una terapia

La commozione dei sopravvissuti quando gli viene concesso di tornare a casa perché sono guariti sa già di un tempo diverso. Le giornate si fanno più lunghe e l’estate arriva presto ma tra Le mura di Bergamo c’è ancora una battaglia da vincere. Quella commozione che porta i sopravvissuti a casa è una commozione verso il passato, verso una casa che non sarà mai più la stessa che rimane come un guscio vuoto ad aspettare in eterno una famiglia che non farà mai ritorno. I sopravvissuti rimangono spogliati della loro vita passata, ci si aggrappano, lottano per cercare di costruire i pilastri di un’altra vita, di una seconda possibilità.

Il gruppo di ascolto che si viene a creare grazie a questi volontari aiuta le persone sopravvissute a cercare di mettere insieme di questa vita. Ci si domanda se le persone siano pronte ad ascoltare le testimonianze dolorose di quei giorni, che ormai sembrano passato, ma che sono incise nelle loro menti. Si sente le esigenze di trattare i morti come tali, non come numeri o come una spunta da mettere su una lista infinita di nomi che la pandemia ha portato via. Bisogna dare alle persone il tempo del lutto, ma quanto tempo occorre? Nessuno sa la risposta perché nessuno ha avuto mai a che fare con una sofferenza così grande.

Le mura di Bergamo recensione

Un abbraccio di una città intera

Le mura di Bergamo diventano anche una metafora di unione, dove si riuniscono queste persone per cercare di essere d’aiuto alle famiglie dei defunti, per dare loro dignità. I volontari infatti non vogliono in alcun modo rivivere la morte ma attraverso di essa elaborare la vita che hanno davanti. Così un anno passa, vediamo immagini del documentario adattarsi con quanto visto in tv come il discorso del Presidente della Repubblica. Ma anche adesso, mentre noi parliamo, il documentario ha già compiuto tre anni dalla sua realizzazione e forse adesso era giunto il momento che vedesse la luce.

Le mura di Bergamo nato come un instant documentary, ha avuto fin da subito un approccio camaleontico alla narrazione della realtà. Se in un primo momento si è occupato della condizione dei pazienti all’interno dell’ospedale, si è poi spostato al di fuori di queste mura. Nella città di Bergamo, dentro quelle mura, i gruppi solidali per supporto emotivo, fisico e sociale si sono riuniti spontaneamente. Chiunque in quel periodo ha dato prova della profonda umanità che l’essere umano è in grado di trasmettere.

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Lidia Maltese
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Lidia Maltese
Laureata in Scienze della Comunicazione alla Sapienza, classe 95. La mia vita è una puntata di una serie tv comedy-drama che va in onda da 27 anni. Ho lo stesso ottimismo di Tony Soprano con l'umorismo di Dexter, però ho anche dei difetti.
le-mura-di-bergamoLe mura di Bergamo mette di fronte allo spettatore i momenti cruciali della pandemia. Vedere i volti sfibrati dalla malattia, le incubatrici e le terapie intensive rende il documentario un monito di quello che abbiamo vissuto. Però poi ci mostra dell'altro, non è un documentario che vuole raccontare la malattia di una città ma la ripresa, l'abbraccio di una comunità unita per il bene del prossimo, per il bene di chi ha fronteggiato in prima persona la malattia.