Le stelle inquiete

Emanuela Piovano – regista produttrice e distributrice italiana, che lavora per cinema e televisione, realizzando film e documentari – porta ora sul grande schermo un episodio della vita della filosofa francese Simone Weil: il suo soggiorno nella campagna marsigliese nel ’41, quando lascia Parigi in seguito alla promulgazione delle leggi razziali.

 

Ad ospitarla una coppia di vignaioli, Gustave e Yvette, con la passione per la filosofia lui, brava moglie e massaia lei, che instaureranno con Simone una profonda amicizia, e anche qualcosa di più. Il cast è variegato, composto, come dice la regista stessa, da “una troupe di esordienti eccellenti” (tra cui il fotografo Raoul Torresi, figlio di Alessio Gelsini) e da alcuni nomi noti (la co-sceneggiatrice Lucilla Schiaffino e il montatore Roberto Perpignani), in un’amalgama che avrebbe potuto, però, esse più felice.

Le stelle inquiete, il film

Le stelle inquiete infatti è eterogeneo. Spicca l’interpretazione di Lara Guirao, attrice francese di cinema e teatro, nei panni di Simone, che mette il suo volto emaciato, il corpo gracile, la sua espressività intensa al servizio del ruolo. Ben delineato il suo personaggio: emergono chiari la passione filosofica, strettamente legata a quella per la vita e per l’essere umano, che vorrebbe emancipato e libero; una filosofia che si fa azione e intervento nella realtà. Simone studia e sperimenta su di sé la vita di campagna, come aveva fatto con il lavoro in fabbrica alla Renault, per capire a fondo i rapporti sociali all’interno del mondo contadino. Netto è anche il suo rifiuto delle ideologie (comunismo e femminismo, cui pure s’era avvicinata), rovina delle idee; ferma la volontà, quasi mistica, di assumere su di sé le sofferenze del mondo. A ciò fanno da contraltare la scarsa  considerazione per sé stessa, una quasi continua frustrazione del proprio corpo, e una sfera affettiva problematica.

Tuttavia, Le stelle inquiete, che oscilla tra impegno e leggerezza (“semplice, arioso e profumato” lo definisce la regista stessa), mostra alcune ingenuità. Innanzitutto, una mescolanza linguistica, che risulta straniante e disorienta. La Piovano sceglie infatti di far recitare  Lara Guirao in italiano, con un forte accento d’oltralpe e incursioni nel francese, che Simone usa soprattutto quando legge i suoi appunti e nei momenti di maggior coinvolgimento emotivo. Mentre gli altri attori, italiani, si esprimono in un corretto idioma nostrano (con lieve inflessione del nord Italia, vedi Gustave e Yvette).

Ciò determina la sensazione che la vicenda sia ambientata nella campagna italiana, e non in quella marsigliese, e che Simone sia ospite da piccoli proprietari terrieri italiani. I nomi dei suoi ospiti, Gustave e Yvette Thibon (interpretati da Fabrizio Rizzolo e Isabella Tabarini), così come le didascalie relative a tempo e spazio (Marsiglia, 1941), o l’artificio che vorrebbe l’accento di lei diverso perché parigino, rispetto al marsigliese degli altri, non bastano a convincere lo spettatore del contrario.

Per quel che riguarda le interpretazioni, occorre notare che quelle di Rizzolo e Tabarini non sono in armonia con quella della Guirao, anzi rivelano limiti e paiono piuttosto monocordi. In particolare, Rizzolo, cui era affidato un ruolo complesso, non riesce a rendere il coinvolgimento emotivo nel rapporto con Simone, come pure l’insoddisfazione e la crisi del rapporto con la moglie, complici anche un soggetto e una sceneggiatura che a tratti sembrano voler approfondire questo aspetto, a tratti paiono sorvolare, limitandosi ad accennare azioni e reazioni. Così, si gioca troppo sul filo del non detto, e anche il detto non sempre è efficace.

Eccessivamente ripetitive sono, poi, alcune scene (in particolare quelle degli incontri in una terrazza cittadina di Gustave coi suoi amici, che paiono quasi la stessa scena, con poche varianti). Poco curati alcuni particolari (ad esempio, la pancia di Yvette incinta, troppo palesemente finta). L’intera pellicola oscilla, inoltre, tra un registro realista e intenti fortemente evocativi, non sempre riusciti. La colonna sonora, firmata da Marc Perrone, si sposa bene alle immagini. Il musicista veste anche i panni d’attore (è Pépé).

Alla regista – anche produttrice e distributrice della pellicola con la sua Kitchen Film – certamente il merito di aver riportato all’attenzione del pubblico la figura di quella grande donna e pensatrice che è stata Simone Weil, fatta rivivere grazie a Lara Guirao, e aver riacceso una riflessione su temi tornati oggi di grande attualità, come la dignità del lavoro (maschile e femminile), la rivendicazione dei diritti, l’emancipazione, e il ruolo della cultura in essa.

 

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