Lo Spietato: recensione del film con Riccardo Scamarcio

Lo Spietato

Ispirato al romanzo Manager Calibro 9, di Luca Fazzo e Piero Colaprico, Lo Spietato è il nuovo lungometraggio di Renato De Maria, con Riccardo Scamarcio protagonista assoluto nella Milano degli anni ’80, tra malavita e scalata al potere. Il film, disponibile su Netflix dal 19 aprile, si rifà al genere del gangster movie e ad iconici modelli di questo. De Maria costruisce così un film forse non particolarmente originale, ma capace di intrattenere, tra situazioni tragicomiche e puro noir.

 

Protagonista del film è Santo Russo (Riccardo Scamarcio), è un calabre cresciuto a Milano. Dopo i primi furti in periferia e il carcere minorile, Santo decide di seguire le sue aspirazioni e di intraprendere definitivamente la vita del criminale. Il percorso di Santo sarà costellato di scelte inevitabili e dolorose, dividendosi tra malavita e famiglia, tra il sogno di una vita borghese e quella da spietato omicida.

Lo Spietato

Quello di Lo Spietato è un viaggio lungo un quarto di secolo nel mondo della malavita milanese, raccontato attraverso gli occhi di Santo Russo. Da questo punto di vista privilegiato, vediamo sfilare un’affascinante ricostruzione d’epoca, che tra costumi e colori, riesce a riprodurre l’atmosfera di quegli anni. All’interno di questa si snoda la vicenda del protagonista, dalla turbolenta adolescenza sino alla conquista del potere criminale. Un’ascesa che ben dimostra la sete di potere del protagonista, pronto ad indossare gli abiti dell’arrivista senza scrupoli, simbolo di un modo d’essere che sempre più andava affermandosi in quegli anni.

Ispirandosi, forse troppo, allo Scorsese di Quei bravi ragazzi e The Wolf of Wall Street, De Maria concepisce una sceneggiatura che svela e mantiene la sua brillantezza per la prima ora del film. Piano piano però il ritmo del film rallenta, proprio nel momento in cui il protagonista raggiunge il suo apice. Qui la narrazione sembra subire una battuta d’arresto, che tende a far perdere d’inventiva il film appesantendo la visione. Il tono scanzonato a cui De Maria ci aveva abituato nella prima parte del film torna sul finale, risollevando le sorti del film, ma non salvandolo dal suo ritmo altalenante.

Lo Spietato

Riccardo Scamarcio allo stesso modo sembra essere maggiormente ispirato nella prima parte del film, aiutato forse da trovate di regia che gli permettono di calarsi ancor più nel genere di riferimento. Una prova, la sua, che pur non pienamente convincente, riesce a conferire al film un protagonista sul quale erigersi. A rubare la scena al celebre attore, c’è spesso e volentieri Sara Serraiocco, nel ruolo di Mariangela, moglie di Santo Russo. Una figura femminile che, pur confinata nello stereotipo della moglie del criminale, risulta complessa, fragile, capace di evolvere affermando la sua forza all’interno del film.

Con Lo Spietato De Maria costruisce un film che cerca a suo modo di dare una nuova voce al genere del crime. Il peso dei modelli a cui si ispira influisce però sulla possibilità del film di affermarsi. Grazie tuttavia ad alcune soluzioni di regia e di messa in scena, lo spettatore potrà trovare un buon livello di intrattenimento, che per questo film di genere sembra poter essere l’obiettivo maggiore da raggiungere.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
lo-spietato-film-netflix-riccardo-scamarcioIl peso dei modelli a cui si ispira influisce certamente sulla possibilità del film di affermarsi, ma grazie ad alcune soluzioni di regia e di messa in scena, lo spettatore potrà trovare un buon livello di intrattenimento, che per questo film di genere sembra poter essere l’obiettivo maggiore da raggiungere.