Dopo l’esordio Songs My Brothers Taught Me e The Rider, bellissimo lavoro presentato a Cannes, Chloé Zhao, regista cinese con una formazione occidentale, tra Londra e New York, torna a raccontare comunità atipiche, dimenticate, ai margini del mondo con Nomadland, un viaggio tra le (non) comunità di nomadi che popolano gli Stati Uniti, spostandosi fra Sud e Nord Dakota, il Nebraska, il Texas.
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Il viaggio di Fern
La storia è quella di Fern, una donna che sceglie una vita da nomade dopo che la crisi economica ha causato la chiusura dell’azienda per cui lavorava, nelle campagne del Nevada, una crisi così nera che ha spinto l’intera cittadinanza del paesino costruito intorno all’azienda ad andare via, abbandonando quel posto, quelle case prefabbricata, lasciando dietro di sé solo polvere, arbusti e stoppa. Portando con sé tutti gli oggetti che in qualche modo le ricordano la vita in quel posto e suo marito, scomparso da qualche anno, Fern, a bordo del suo van percorre la strada, da sola o in compagnia, entrando di volta in volta in contatto con nomadi come lei, percorrendo il deserto, scrutando l’orizzonte, inventandosi una vita che non riconosce più e ancorandosi al ricordo del passato che non tornerà ma che continua a vivere proprio il quel ricordo.
Nomadland è un omaggio a quella popolazione che sceglie di vivere su quattro ruote, è un’ispezione in punta di piedi di un territorio mozzafiato, ma è anche un viaggio interiore, una ricerca esistenziale e il racconto del dolore che spinge ad andare avanti ostinatamente, evitando qualsiasi altra possibilità di legame, di stanziamento, di relazione che non sia con i proprio ricordi. Così Fren stringe tante amicizie, intesse relazioni e rapporti, ma solo per poi lasciarli cadere una volta risalita a bordo del suo van. Persino quando un’amicizia romantica le offre la possibilità di un focolare domestico, lei rifiuta e ci sembra che in quel rifiuto ci sia rammarico, ma anche dispiacere e necessità di tornare indietro ai proprio ricordi.
Un vuoto incolmabile, uno spazio senza confini
Fren deve riempire il
vuoto lasciatole dentro dalla perdita del suo posto, in cui per
tanto tempo ha vissuto di ricordi, ma sceglie di farlo con tanti
piccoli legami provvisori: l’amicizia con i nomadi che domani
potrebbe non incontrare più, i lavoretti saltuari a seconda del
posto in cui si trova. Solo tornare sui suoi passi e nei luoghi che
ha lasciato la metterà in pace con se stessa.Nomadland è un
viaggio in quel’America post crisi, senza industrie, senza futuro,
tra una generazione che a oltre metà della sua vita si è trovata
senza lavoro, senza più certezze, persone con mille e una risorsa
ma anche senza prospettive. Il racconto di Chloé Zhao è poetico, si
avvale di immagini mozzafiato e di paesaggi spettacolari, ma è
anche politico dal momento che fotografa una situazione di
precarietà profonda. E ancora, Nomadland è un racconto umano e
sociale, che evidenzia come, attraverso l’aiuto reciproco, anche
questa precarietà si può arginare, come mostrano le sparute ma
vivaci scene conviviali tra Fern e i nomadi che trova lungo la
strada.
Chloé Zhao si affida a Frances McDormand che produce anche il film e che interpreta una Fren strepitosa. Ogni sua ruga, ogni sua espressione è dedicata ad una donna che sembra conoscere e capire intimamente, un ruolo che non fa altro che confermare la delicatezza di un’interprete che negli ultimi anni ha dato prova di migliorare film dopo film, performance dopo performance, nonostante partisse già da livelli altissimi. Ma oltre McDormand, i volti che restano davvero impressi nella mente sono quelli di Linda May, Swankie, Bob Wells, nomadi veri, persone autentiche.
Nomadland, chi è ricordato non muore mai
L’occhio di Zhao mostra e racconta con una compassione e una delicatezza rara, costruisce il film passo dopo passo così come i suoi protagonisti un pezzo alla volta ricostruiscono la loro vita, sempre proiettati lungo la strada come fossero carovane di pionieri senza però nulla da scoprire. La ricerca malinconica e disillusa di un nuovo posto in cui stare si rivela presto essere solo una scusa per continuare ad andare avanti, nel ricordo di persone e posti che non torneranno, ma che, proprio perché ricordati, non moriranno mai.
Nomadland, basato sull’omonimo romanzo di Jessica Bruder, ci accompagna lungo queste strade desertiche e queste umanità spezzate ma caparbie sulle note di Ludovico Einaudi che invadono la scena, spesso stringendo anche con le immagini di difficoltà, alle quali però conferiscono dignità e poesia. Zhao realizza un ritratto dell’America post-industriale profondo, delicato, dalla parte dei perdenti che comunque riescono a ingegnarsi e ad andare avanti, senza mai dirsi addio, così come è tradizione tra le comunità di nomadi. “Ci si vede lungo la strada” si dicono, un arrivederci a non si sa quando ma un saluto fiducioso verso un ignoto futuro.