Una delle figure piú
importanti del cinema e della cultura italiana viene risuscitata e
portata sullo schermo da un regista che ha fatto dell’originalitá e
dell’irriverenza la sua cifra distintiva nel panorama del cinema
mondiale. Il nome di Pier Paolo Pasolini torna sul
grande schermo in un racconto voluto e diretto da Abel
Ferrara, un racconto atteso dal pubblico e che si
concentra sulle ultime 24 ore di vita del regista, scrittore e
artista italiano. La scelta molto specifica dell’arco temporale da
raccontare non trova peró riscontro in una uguale chiarezza delle
intenzioni e del punto di vista assunto dal regista stesso. Il
Pasolini di Ferrara non é un film
d’inchiesta, non é un film che indaga sull’aspetto privato o
intellettuale del personaggio, non si pone domande nè fornisce
eventuali risposte. Pasolini è un film che mostra, e forse proprio
in questa caratteristica sta la sua forza e la sua debolezza
insieme, le ultime ore di vita del personaggio, toccando di
sfuggita i grandi nodi tematici che lo hanno caratterizzato e reso
celebre ma che non sceglie di approfondire nessuno di questi, a
favore di una didascalica messa in scena.
Tutt’altro che didascalica
è invece l’interpretazione di Willem Dafoe, che si
è caricato della responsabilità di dare corpo a Pier Paolo
Pasolini, facendolo in maniera ineccepibile: il lavoro
dell’attore si e rivelato puntuale e preciso nella ricostruzione
mimica e fisica del regista riuscendo addirittura ad emularne quel
tipico sguardo malinconico, dolce e acuto che i filmati d’epoca
hanno restituito alla storia.
Abel Ferrara dirige un film che oseremmo definire senza personalità, con un ottimo interprete ma, anche tenendo conto della delicatezza del soggetto trattato, con poco coraggio nel prendere una decisione sulla strada da percorrere.