Qualcosa di troppo recensione del film di e con Audrey Dana

Qualcosa di troppo

Il cinema ha un debole per i «what if» e a sfruttarne il potenziale è l’attrice – nonché regista e sceneggiatrice – Audrey Dana, che segue il debutto di 11 donne a Parigi con Qualcosa di troppo.

 

Chiave di lettura della commedia è lo switch vissuto dalla protagonista Jeanne, una quarantenne divorziata in cerca d’equilibrio che, paradossalmente, riscopre la propria femminilità in seguito a un piccolo cambiamento.

Abituati alle frivole commedie americane, come Hot Chick – una bionda esplosiva e Boygirl – questione di…sesso, o persino reduci dall’ultimo prodotto italiano Moglie e Marito, lo switch si mescola e rimescola su se stesso fino a presentarsi in un piatto privo di sostanza e qualità. Audrey Dana affronta il tema con una spennellata al femminile, ponendo l’obiettivo su cosa significhi oggi essere un uomo e, soprattutto, una donna.

Rischioso per la banalità ma coraggioso per l’angolatura scelta, il film si spaccia come una commedia odierna per sottolineare il costante dislivello tra uomo e donna, due figure complementari che il più delle volte ignorano il loro vero senso della vita.

Jeanne, interpretata da una carismatica Audrey Dana, viene dipinta come una donna sottomessa, senza lingua, finché non ritrova la voce nei pantaloni. Il cambiamento di Jeanne è rapido, a tratti paranormale, e più tempo passa nei panni dell’uomo, meno avverte il bisogno di scoprire chi realmente è. Il suo personaggio, preso singolarmente, sarebbe un banale cliché della comedy, se non fosse per il fatto che nel suo corpo si annidino due personalità opposte, che sgomitano tra cervello e ormoni dimenticandosi completamente del cuore.

Perché è quello che fa la differenza. È il cuore che prende il comando nell’esatto momento in cui ci si ricorda della sua esistenza. Jeanne s’innamora rispolverando ciò che più le manca di se stessa, ma ottiene la ricompensa del romance soltanto dopo un percorso lastricato di dialoghi banali e ambientazioni piuttosto irrealistiche (la scena in palestra, per dirne una).

Il modo in cui viene descritta la figura maschile calerebbe già da sé la qualità della pellicola: Jeanne come uomo lascia il comando agli ormoni, scrostando una patina superficiale trita e ritrita che, in un contesto così delicato, avrebbe dovuto rafforzare più gli aspetti positivi che negativi, ancor di più se è il cervello femminile a sperimentare la vita maschile. Purtroppo è proprio la figura femminile ad abbatterne tutto il potenziale. Esplorare nuovi mondi non è una condanna, finché non si perde la bussola. Jeanne parte come una sottomessa e arriva a destinazione come un leader, ma il messaggio – per quanto nobile e profondo possa sembrare – è del tutto errato, perché il suo cambiamento non è dato dal coraggio di voler essere donna, ma dal ripiego di poter essere uomo.

Ciò che rende giustizia alla pellicola è il ginecologo (Christian Clavier), una voce del popolo che rappresenta l’uomo comune con domande ovvie e reazioni genuine, ma nello specifico è un personaggio che affronta il dilemma senza pregiudizi, una delle chiavi che avrebbe reso maggior giustizia all’idea del film.

Qualcosa di troppo, che nasce da un sogno della stessa Dana collocabile a più di vent’anni fa, è una commedia frizzante che sbatte il muso contro i concetti e i pregiudizi del ventunesimo secolo. Audrey Dana ha scelto ottimi cavalli di battaglia, ma ha preferito giocare sporco andando a infangare quei lati negativi e superficiali dell’uomo che al tempo stesso hanno reso vulnerabile e patetica la donna. «Mio padre aveva ragione. Senza p*****o non combinerai mai niente nella vita». E questo è quanto.

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