Senza arte né parte: recensione del film

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Nel film Senza arte né parte il Pastificio salentino Tammaro chiude la propria fabbrica e a farne le spese sono i dipendenti. La storia segue quindi tre di questi, Enzo, Carmine e Bandula, rimasti senza lavoro, che cercano di reinventarsi dopo il crollo improvviso delle loro vite. Aurora, moglie di Enzo, viene però assunta dallo stesso Tammaro, che volendo entrare nel mercato delle opere d’arte, ha bisogno di un’interprete. Grazie ad Aurora, i tre diventeranno custodi (sottopagati) del deposito di pezzi d’arte del vecchio datore di lavoro. Senza Arte né Parte comincia da questo semplice, e potenzialmente vincente, presupposto: gli umili, operai e magazzinieri, messi a confronto con le grandi opere d’arte contemporanea, gioia e desiderio di ogni collezionista.

 

Il mondo umile e laborioso, artigianale, entra in contatto con ciò che di più futile ed alto conosce la nostra cultura: l’uovo di Manzoni, la famosa ‘merda d’artista’ dello stesso, il Baco da Setola di Pascali e i ‘tagli’ di Fontana. Ma cosa succede quando nelle loro mani maldestre l’uovo si rompe? I tre scopriranno così per caso l’incredibile proprietà dell’arte contemporanea: la riproducibilità. Da qui il passo è breve ed Enzo, Carmine e Bandula diventeranno una banda di falsari, ingenui ed ‘onesti’, come Totò e Peppino, senza però il loro mordente spirito farsesco.

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Senza arte né parte, il film

Nel caso di Senza arte né parte di Giovanni Albanese, mai titolo fu più appropriato, perché senza arte né parte è i film stesso, la sceneggiatura e ahiloro lo diventano anche i bravi attori appiattiti dalla noia del racconto. La ricerca ostentata e forzata verso la risata contrae il racconto che non sembra mai scorrere con leggerezza, e il risultato è un film che viene percepito molto più lungo dei suoi onesti 90 minuti. Nota di colore è il gallerista senza scrupoli interpretato con il giusto tocco viscido da Ninni Bruschetta, a lui sono affidate le parole che pongono fine alle peripezie di questi falsari per caso, e lui si fa portavoce di un problema, quello della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, che nell’era di internet, della pirateria e del digitale è più che mai attuale e scottante, e per l’arte contemporanea soprattutto diventa nevralgico.

Il problema però viene lasciato lì, a mezz’aria, senza la forza di farlo diventare il vero centro della narrazione, senza il coraggio per una volta (che fosse una) di far finire ‘in tragedia’ un film italiano.

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Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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