Sinister: recensione del film con Ethan Hawke

Sinister film recensione

Arriva al cinema distribuito da Kock Media, Sinister, il film horror diretto da Scott Derrickson, e con protagonisti Ethan Hawke e Vincent D’Onofrio.

 

In Sinister uno scrittore che, a distanza di anni, vive ancora nell’ombra del fortunato Kentucky Blood, il libro che lo aveva consacrato come brillante autore di storie di crimini e reso schiavo di un traboccante successo, di cui ora non può che assaporarne l’amaro retrogusto. Lui è Ellison Oswait (Ethan Hawke), e la nuova storia che ha tra le mani è quella di un’impiccagione familiare, resa ancora più inquietante dalla misteriosa scomparsa della figlia minore, scampata ad una tragedia collettiva che, secondo Ellison, ha tutte le carte in regola – sinistri enigmi ed esoteriche coincidenze – per diventare la storia dell’anno, quella  che gli consentirà di dare una svolta alla sua vita, esautorata ormai di ogni parvenza di colore. Ellison sente di avere una chance e così trascina la sua famiglia ignara, nella casa-teatro del delitto, dove inizierà la sua ostinata e sofferta ricerca di indizi, particolari tralasciati, misteri insoluti che diano corpo alle sue intuizioni e alla sua storia. La vita a King County, da entusiasmante svolta, si trasforma in una macabra parabola di terrore e insanabile turbamento. L’egoistica sete di popolarità dello scrittore pianterà nella sua vita familiare i germi di un male, duro da estirpare.

Il veterano dell’horror Scott Derrickson, dirige in Sinister, un Ethan Hawke alle prese con il suo smarrimento interiore e la disperata ricerca di conferme, che vivrà sulla sua pelle le pene dell’efferata storia delittuosa, di cui avrebbe voluto essere solo attento ispettore e narratore. Ad aprire il film è la granulosa diapositiva che mostra quattro persone impiccate ad un albero. Subito dopo Ellison e famiglia impegnati nel trasloco, esplorano i meandri della nuova casa. Il ritrovamento in soffitta di una misteriosa scatola contenente filmati in super8, suggellerà i contorni scabrosi del mistero che avvolge la casa. Sinister è un film che, ibridando componenti thriller a stilemi horror, soffre di una precisa identità che lo rende privo di consistenza narrativa e di un’adeguato spessore emotivo.

A creare però un’indovinata atmosfera ansiogena e claustrofobica, sono la cadenza ciclica e asfissiante dei gesti di Ellison – blindato nel suo studio, passa intere giornate e nottate a visionare i macabri filmati della scatola – , e della musica, che punteggia il suo crescente sgomento in modo calzante, tale da far respirare a pieni polmoni il livido e soffocante torpore della casa. Una sorta di scatola cinese, labirintica nella sua perlustrazione, che racchiude crimini e misfatti nell’anima oscura di una divinità pagana che la infesta, così come la scatola nascosta in cantina, racchiude tracce video, che assemblate e studiate porteranno alla verità.

La suspense che Derrickson riesce a creare inizialmente tra le mure di casa, anche solo con piccoli trucchi di condizionamento psicologico, viene però, inficiata dalla successiva volontà di tingere la pellicola di humour horror. La presenza di un imprescindibile dogma del genere  – la casa ricca di occulte presenze e di tragici avvenimenti – non è bastata a rendere pregnante e appassionante la vicenda, che a mezz’ora dall’inizio, risulta già logora e incapace di aggiungere qualcosa di nuovo ad un genere filmico, ormai confinato nel retorico utilizzo di vecchie e stanche formule. La minuziosa regia e la strategica sceneggiatura non riescono a salvare il film dall’assenza di originalità, dal pathos che solo un horror che terrorizza può generare e da un epilogo scialbo e prevedibile, tassello finale di un mistero, durato troppo poco!

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