Antoine Fuqua ha abituato lo spettatore ad un cinema “virile”, dal forte impatto visivo, realistico, crudo e metropolitano. Appassionato di boxe da sempre, ha deciso di unire il suo talento alla passione, girando il film che rappresenta l’anello di congiunzione tra il gusto mainstream tipicamente hollywoodiano e il documentario sportivo: Southpaw ne è il prodotto finale, nato anche grazie alla sistematica applicazione del “metodo” da parte dei suoi interpreti, Jake Gyllenhaal, Rachel McAdams, Forest Whitaker, Curtis “50 Cent” Jackson e altri, diventati letteralmente i loro personaggi, senza limitarsi a interpretarli.
Southpaw ruota intorno alla storia di ascesa e caduta, dalla cenere alle stelle per bruciarsi e risorgere come una fenice, del pugile peso massimo leggero Billy “The Great” Hope, promessa del pugilato e campione del mondo, sposato con l’amata moglie Maureen e padre della piccola Leila. La sua vita è un rincorrersi costante di successi e vittorie, ottenuti grazie alla grinta e alla rabbia che mette nella vita come sul ring, dove stende gli avversari con i suoi famosi sinistri (southpaw, infatti, sta ad indicare un pugile mancino).
Ma quando la moglie rimane uccisa durante una rissa provocata dal suo rivale Miguel “Magic” Escobar, Billy cade in un incubo senza ritorno, che lo spinge ad autodistruggere la sua, ormai, misera vita fino a perdere la custodia dell’amata figlia, tutto ciò che gli rimane. Sarà l’incontro con un vecchio allenatore nonché ex pugile, Tick Willis, a fornirgli lo slancio necessario per contenere la sua rabbia, tornare a combattere e conquistare di nuovo il posto che gli spetta sulla vetta del mondo.
Southpaw, il film
Fuqua ha dichiarato fin da subito la sua intenzione di voler creare il primo film “vero” sulla boxe, non un prodotto destinato solo all’intrattenimento del pubblico lontano dal vero mondo del pugilato, bensì una pellicola accurata, realistica e adrenalinica fin nei dettagli, che restituisce allo spettatore la sensazione di ritrovarsi davvero su un ring, in mezzo ai pugili intenti a boxare, percependo realmente il sudore, il sangue, la rabbia che irrompono – esplodendo – sulla scena: e proprio grazie alla fotografia e alle inquadrature strette e serrate che il film acquisisce un gusto eccessivo, “testosteronico” e spettacolare, restituendo la stessa sensazione di un incontro “live” di pugilato, di un match senza esclusione di colpi tra rabbia ed equilibrio, vita e morte, odio e amore: questo è il senso stesso di Southpaw, una riflessione profonda – e firmata da Kurt Sutter, già creatore del cult Sons of Anarchy– sull’esistenza stessa, sulla lotta personale che deve affrontare un uomo per riconquistare quello che è il suo diritto fondamentale: quello alla vita, senza limitarsi ad osservare la propria esistenza che scivola lentamente nell’oblio del dolore.