Su Re: recensione del film di Giovanni Columbu

Su Re

Su Re è il racconto dei momenti conclusivi della vita di Gesù, dall’ultima cena al tradimento di Giuda nel giardino del Getsemani, dal processo alla crocifissione, passando per tutti gli episodi più importanti avvenuti nelle ore che ne precedono la morte. La Passione trasposta in quella Sardegna tanto cara a Giovanni Columbu, già regista di Arcipelaghi, impressa su pellicola e distribuita dalla Sacher di Nanni Moretti. Una storia tra le più affrontate in campo cinematografico, rielaborata e rappresentata in chiave nuova, grazie all’utilizzo di numerosi espedienti che fanno di Su Re una versione della Passione coraggiosa e innovativa.

 

La vicenda ci viene presentata a partire dal finale, mentre Maria (Pietrina Menneas), in lacrime, stringe tra le mani il volto del figlio senza vita. Stesso punto d’inizio e fine, cui si ritorna attraverso una struttura slegata da un filo cronologico, costruita sull’utilizzo di numerosi flashback, che si alternano senza un ordine temporale preciso, come fossero ricordi confusi dei protagonisti. Una dimensione al di fuori del tempo, trasmessa grazie alla scelta di trasportare la storia tra i paesaggi brulli e pietrosi della Sardegna, tra i costumi e il linguaggio locale. Tutto il film è, infatti, totalmente recitato in dialetto sardo e sottotitolato, un espediente che riesce a dare un sapore arcaico alla rappresentazione, ma allo stesso tempo rende più ostica la visione per lo spettatore.

Su ReLa messa in scena è tecnicamente ben curata, con attimi inquadrati da diverse prospettive, una fotografia splendida, un sonoro assoluto protagonista delle scene più crude, spesso lasciate fuoricampo, particolarmente studiato per penetrare nella testa dello spettatore, come la frusta e i chiodi penetrano nella carne di un Cristo dal volto mai così umano e terreno, interpretato da Fiorenzo Mattu. Proprio la potenza dei volti è la peculiarità più importante del film. Sono le facce dei sofferenti e degli emarginati, segnate dal dolore. Personaggi che hanno un che di pasoliniano, intrisi di umanità e umiltà. Gli attori sono tutti non professionisti, presi dalla strada o addirittura da alcuni centri di salute mentale, eppure capaci di trasmettere emozioni autentiche.

Columbu ha il merito di riportare sullo schermo la Passione di Cristo nell’unico modo in cui poteva avere un senso, caratterizzandola e dandole un taglio più personale, che si discostasse completamente da trasposizioni precedenti. Se dal punto di vista tecnico il film possiede alcuni pregi evidenti, le stesse scelte che lo particolareggiano ne appesantiscono la visione, già debilitata da una trama nota, resa ancor più ostica dal ritmo lento e dalle molte scene di sola mimica. Malgrado ciò la bilancia pende dalla parte di Columbu e il risultato è comunque positivo. Un’opera complessa ma emozionante, suggestiva, umana.

 

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