Presentato in concorso a Venezia 75, Napszállta (Sunset) di László Nemes, traducibile come “tramonto”, è il secondo lungometraggio del regista ungherese premio Oscar al miglior film straniero per Il figlio di Saul. Con la nuova opera Nemes segue i passi di una giovane donna, attraverso il cui sguardo osserviamo il tramonto di un epoca nell’appena sopraggiunto ventesimo secolo, in un’Europa alle soglie della prima guerra mondiale.
Nel 1913 la giovane Írisz Leiter (Juli Jakab) arriva a Budapest con il sogno di lavorare come modista nella cappelleria che apparteneva alla sua famiglia, ma viene cacciata dal nuovo proprietario. Írisz si mette allora alla ricerca del misterioso Kálmán Leiter, che sembra essere rimasto il suo ultimo legame con il passato.
Tra i film più attesi del Festival, quello di Nemes era un vero e proprio banco di prova per il giovane regista, chiamato a confermare la sua voce autoriale con l’opera seconda. Sunset si rivela invece essere un’opera al di sotto delle aspettative da un punto di vista prettamente narrativo, rivelando una sceneggiatura carente, labirintica, non in grado di portare a compimento l’intento del regista.
L’ambizione riposta in questo progetto si rivela essere una meta non pienamente raggiunta, e nella sua lunghezza (di 142 minuti), nonostante un ritmo ben sostenuto, la narrazione fatica a sciogliersi e risolversi, lasciando sospesi intrecci e risvolti criptici. Diviene così difficile anche immedesimarsi nella protagonista, nonostante la buona prova attoriale di Juli Jakab, e si costretti a rimanere al di fuori degli eventi narrati, senza riuscire a sentirsi davvero coinvolti da questi.
È guardando invece alla
metafora che Nemes vuole mettere in scena, che si trovano gli
spunti più interessanti. Írisz diviene così l’incarnazione
dell’Europa, un’Europa smarrita tra strade e personaggi a lei
ostili, che perde l’innocenza dinanzi ad una società sempre più
corrotta e depravata. Una metafora che dovrebbe portare lo
spettatore a riflettere sull’attuale situazione dell’Europa,
costantemente minacciata e dilaniata internamente.
Punto di forza del film è invece certamente l’aspetto visivo del film, girato con grande classe e gusto per la messa in scena, con una ricercata attenzione per la composizione visiva, le scenografie e i costumi. Nemes concepisce e realizza splendidi long takes e piani sequenza, che pedinano ossessivamente la protagonista all’interno di una città specchio di un continente e una società al tramonto. Il prosperare di eventi drammatici viene altresì sottolineato da una fotografia che predilige via via toni più scuri, conferendo così al tutto un senso di claustrofobia adatto al tono del film.
Un mezzo passo falso, dunque, questa sua opera seconda, che rivela la sua debolezza principale in una narrazione che tenta di ricercare le cause di degrado morale e sociale che portarono ai grandi conflitti del ventesimo secolo. Il punto di vista che il regista sceglie di adottare per far ciò, si rivela tuttavia mal strutturato e non in grado di reggere l’ambizione del film. Sunset ridimensiona così le aspettative nei confronti del suo autore, che tuttavia mette a segno alcuni nuovi colpi da maestro che fanno ben sperare per il suo futuro.